Moro, il caso non è chiuso. La verità non detta
- Autore: Maria Antonietta Calabrò e Giuseppe Fioroni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Edizioni Lindau
- Anno di pubblicazione: 2019
Certo che transitava una gran folla, tra il bosco e il sottobosco dell’Italia degli anni si piombo. Tra militari con la fregola del golpe, terroristi di ogni colore, servizi deviati, criminali comuni, prelati in affari e infiltrati dell’est e dell’ovest, era un traffico da ora di punta. Soltanto che, di solito, non si lasciava vedere. Le stragi e gli omicidi autorizzavano al sospetto che qualcuno agisse nell’ombra, ma le verità, in molti casi, restavano nascoste. Quelle sul “caso Moro”, per esempio, tra versioni di comodo, altre ridotte, altre rivedute e corrette, le sa solo Dio. Qualcosa di nuovo è affiorato di recente (2018), grazie al lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta Moro 2, approdata a una constatazione inquietante: molto di ciò che l’opinione pubblica conosce sul rapimento e l’omicidio Moro è figlio di un compromesso, mirato a esprimere una verità accettabile – leggi di comodo – sia per gli apparati dello Stato sia per i brigatisti coinvolti.
In altre parole: la verità dei fatti è quasi certamente troppo grande per essere raccontata nella sua interezza.
Giuseppe Fioroni (Presidente della Commissione parlamentare) e la giornalista Maria Antonietta Calabrò tentano di risalirvi, in un libro che se fosse frutto di fantasia poco avrebbe da invidiare alle spy-story di Ken Follet e John Le Carrè. Si intitola Moro. Il caso non è chiuso. La verità non detta e, poco sotto il titolo, rafforza il concetto annunciando: “Nuova edizione aggiornata sulla più importante operazione della Guerra Fredda prima della caduta del Muro di Berlino”. Questo libro, si diceva, non è un romanzo e nemmeno il frutto di teorie cospirative: a sostegno della loro ricostruzione dei fatti, gli autori si appellano a migliaia di documenti desecretati (qualcuno persino di marca STASI, la temibile polizia segreta della Germania dell’Est), nuove testimonianze e nuove prove della polizia scientifica e dei RIS dei Carabinieri. Sulla base di quanto di inedito è stato accertato, un dato mi pare incontrovertibile: Aldo Moro doveva morire. La sua morte ha fatto comodo a molti, all’interno e all’esterno dei confini nazionali.
Non entro nel merito di un volume molto accurato, su cui meditare, limitandomi a riportare la sfilza parziale delle verità emerse dopo quattro anni di lavoro della Commissione d’inchiesta Moro 2, da cui questo libro prende le mosse:
- Il giorno dell’agguato alla scorta di Aldo Moro, in via Fani erano presenti almeno due militanti della RAF (Rote Armee Fraktion) tedesca;
- Il caffè all’angolo di via Fani era un centro di smistamento di un traffico d’armi che vedeva coinvolte agenzie mediorientali e criminalità organizzata;
- La prima “prigione del popolo” in cui venne rinchiuso Aldo Moro si trovava nell’attico di una palazzina dello Ior, arcinota banca vaticana;
- A fornire i 10 miliardi del “riscatto” consegnati a Paolo VI per l’ipotetica liberazione di Moro, fu un imprenditore israeliano;
- Le fazioni palestinesi ricoprirono un ruolo importante nella trattativa, il cui artefice principale venne assassinato a Berlino Est;
- Durante il sequestro Moro passarono dalle mani delle Brigate Rosse importanti documenti segreti della NATO.
- Stando alle nuove perizie, risulta implausibile che l’omicidio Moro sia avvenuto nel garage di via Montalcini. Secondo alcune testimonianze, l’uomo venne ucciso in “una cantina di un’ambasciata" che non c’è più, vicino via Caetani.
- Aldo Moro non è morto sul colpo.
Quest’ultimo, se vero, è l’aspetto umano più angosciante di un affaire (aveva già visto bene Leonardo Sciascia) che ha rappresentato la svolta senza ritorno della recente storia italiana.
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