Mosche
- Autore: Valentina Santini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Voland
- Anno di pubblicazione: 2024
È fresco di stampa per i tipi della Voland il libro “Mosche” (Voland, 2024), seconda prova narrativa di Valentina Santini, laureata in Psicologia che scrive per il cinema e collabora con alcune realtà editoriali in veste di editor e copywriter. L’autrice si interroga e invita i lettori a farlo sulle leve psicologiche delle nostre scelte in una contemporaneità così desolante, cinica, estrema da sfiorare la distopia, quella dell’apparenza e del consumismo i cui imperativi categorici sono due: Sembro, dunque sono; Se spendo esisto. Propone una vicenda disturbante come gli insetti del titolo che, mosca araldica a parte, già in Omero sono sudici, fastidiosi, infestanti tanto che uno degli epiteti di Zeus è Apómyos, lo scacciamosche.
Il protagonista Francesco Sforzi è un postino della pubblicità, la figura professionale addestrata a consegnare i volantini. Infila il materiale cartaceo nelle cassette o nella buca condominiale del mercato di destinazione usando la bicicletta come mezzo di trasporto. Purtroppo a settanta euro lordi per 4000 volantini il margine per fare progetti, coltivare una relazione sentimentale, possedere un’abitazione non c’è. Un lavoro duro, precario, poco gratificante specialmente a ridosso della cinquantina. Per questo motivo lo Sforzi trabocca di rabbia e opinioni, un’endiadi di rabbia incrollabile e pensieri rabbiosi che rumina nel corso di una storia condotta in prima persona. L’ego lo rende così antipatico da catturare l’attenzione. Complice un linguaggio crudele e crudo che se ne infischia di bon ton e politicamente corretto. Gli stranieri sbarcano in Italia per delinquere, rubarci il lavoro e mangiare alle nostre spalle:
“Quando c’era chi dico io non si poteva fare i delinquenti con la stessa facilità di oggi”.
Sono in tanti a cercare lavoro, ma sotto sotto nessuno ha voglia di rimboccarsi le maniche, gli animali sono meglio delle persone, i mariti si tengono stretti con i piaceri del sesso e della tavola, agli uomini di colore piacciono le donne formose, il senso civico è morto. Sono di questo tenore – ma lo stile è ben più colorito – le sue opinioni: una dose di luoghi comuni e pregiudizi, una manciata di saggezza popolare e superficialità, un pizzico di antropologia passata al setaccio della vulgata, lo scanner di uno spirito di osservazione indefesso. Palesa razzismo e omofobia, precisa il suo orientamento eterosessuale, ci delizia con dettagli respingenti: saliva e dentiera di anziani, dita di piedi sporchi, residui di cibo intrappolati nel cavo orale. Insomma lo Sforzi è un tipo così, astioso contro il mondo perché lui che sfaticato non è, questa vitaccia non se la merita.
Però se è vero come affermano gli specialisti che la rabbia suggerisce la necessità di un cambiamento, questo non tarda ad arrivare. Infatti il romanzo apre il sipario su un uomo di successo elegante, invidiato, astro nascente della politica. Eppure si tratta della stessa persona a distanza di un lustro. Qual è il segreto della trasformazione? Ha buttato alle ortiche la zavorra di opinioni?
In apertura il protagonista (fu rider) sembra condurre una vita principesca in un loft open space arredato alla newyorkese, al suo fianco una ragazza bellissima che del suo corpo non fa carestia, un collaboratore onnipresente a pianificare in dettaglio vita pubblica e privata da spegnere in lui ogni scatto immaginativo. Saltellando tra piani temporali diversi con una narrazione zigzagante in favore di suspense, affiorano le tappe della sua ascesa “dalle stalle alle stelle” il cui centro di irradiazione è la nonna:
《Quello che mi è accaduto per arrivare qui, ora, a Magdalen nuda, alle macchine con l’autista, ai rimborsi spese, ai microfoni, alle interviste, ai milioni di follower, inizia con un altro me, in un punto qualunque di quello che ero. E mi rende vincitore. 》
Il “punto” che funge da cesura esistenziale esplode durante un lavoro di fatica, quando i genitori gli propongono di sgombrare la villa della nonna parcheggiata in una residenza per anziani, la versione 2.0 dell’ospizio pirandelliano. Non è allettante la prospettiva di raggranellare qualche soldo vendendo ciò che vuole? Tra un sacco nero e l’altro di roba da buttare, fa una scoperta - di quelle grosse capaci di mandarti al manicomio - che lo spinge a riallineare la sua vita fino a costruirne una nuova da leader politico.
Valentina Santini gioca con generi diversi. Il countdown rispetto a un evento sensazionale strizza l’occhio al thriller, la storia della nonna attinge dalla favola nera situazioni e humor al vetriolo, la parabola del protagonista in qualche modo ribalta il romanzo di formazione. In fondo chi meglio di una psicologa scrittrice (e viceversa) poteva raccontare in modo scoppiettante, caustico, lisergico i mali della nostra società? Tra culto dell’apparenza, pervasività dei social, giogo dei like, pressapochismo morboso e cafonal delle trasmissioni televisive, nuove frontiere del consumismo bio, sano, responsabile, costruzione del consenso a basso costo, in questo romanzo non si salva nessuno. Nemmeno la religione cui il protagonista attribuisce il profilo zoomorfico di un Dio-insetto incurante dell’umanità. “Mosche” è un romanzo interessante perché, spiega Valentina Santini in un’intervista, un pezzetto di Francesco Sforzi appartiene a molti di noi, anche agli insospettabili.
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