Né timo né maggiorana
- Autore: Giovanni Orelli
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Marcos y Marcos
“Le api suggono i fiori di qua e di là, ma poi ne fanno miele. Ed è miele loro in tutto, non più né timo né maggiorana: così l’autore delle cose prese in prestito da altri: le trasformerà e mescolerà per farne una cosa tutta sua, giusta il suo modo di vedere le cose”.
Questa frase, tratta dagli Essais di Montaigne, fa da epigrafe al libro di Giovanni Orelli dal titolo Né timo né maggiorana, sessanta sonetti pubblicati da Marcos y Marcos nel 1996 che spaziano dall’eros alla morte, dalla memoria personale alla polemica politica o civile. Sonetti onnivori e onnicomprensivi, pervasi da un’ansia di raccontare e raccontarsi che li rende agli occhi di un lettore di poesia, abituato ormai a un certo ermetismo formale e orfismo criptico nei contenuti, tanto più originali e sconcertanti.
Difficile, infatti, trovare antenati o padrini alla poesia di Giovanni Orelli (1928-2016). Giustamente Remo Fasani nell’introduzione alla raccolta parla di “vena narrativa”, che si esplica nella preferenza data ai versi lunghi, e soprattutto in un contenutismo esasperato: voglia di dire tutto, e con una certa eccitata tensione comunicativa. Rimane, della tradizione, l’involucro formale del sonetto: due quartine e due terzine, ma per così dire sbeffeggiato, preso in giro da un’innovazione continua e dissacrante: rime false o strabordanti, enjambement provocatori, metrica strapazzata…
Anche i contenuti della poesia sono vari e fantasmagorici: il Ticino, la Svizzera di Orelli c’entrano di sbieco, in questa raccolta. Qualche profumo e colore, qualche faccia contadina o frase dialettale.
Invece protagonista è il mondo intero, con i suoi avvenimenti tra storia e cronaca, con le ideologie e le utopie. In particolare, la danza vorticosa tra eros e thanatos sembra molto interessare il poeta. Un eros libero e gioioso, “vertigine di vento” che si insinua tra occhi e pensieri, subdolo e invincibile, per esplodere poi esaltato ed esaltante:
il Robinson che esplora è la mia mano sola, / giunge a una Sierra Madre penetra un folto / di piume, l’occhio intanto cerca il tuo volto / insegue un guizzo che nell’iride vola, / il sangue che ti trema nella gola, / il tuo ventre che esulta, dalle catene della mente sciolto.
Ci troviamo davanti a una carambola di occhi, seni, capelli, gambe che costituiscono un vero inno alla vita e alla felicità, chiosato da un verso-viatico-programma esistenziale: “misura per amare è amare, sempre, senza misura”.
A questo imperativo fa da contraltare un richiamo ossessivo alla morte, al disfacimento del corpo, temuto eppure aspettato. Gli accenni alla fine sono così ripetuti da sembrare quasi apotropaici:
“Giovanni Orelli è morto? No, per Zeus, ma è giù di forze”, “Morirai, e sarà libero un posto…”, “due volte con le sue ali mi ha sfiorato / nostra sorella morte…”, “Ovunque il guardo giro è, per metastasi, un diffuso odore / di morte…”
Ma comunque anch’essi travolti da un incoercibile amor vitae.
Il volume è corredato, in chiusura, da una serie impressionante di note, che rimandano alle letture da cui sono scaturiti i sonetti: letture le più varie, di antropologia, scienza, storia, filosofia o religione, a indicare la molteplicità e la varietà degli interessi dell’autore, oltre che la sua abilità a sfruttare per fini poetici qualsiasi argomento, con un distacco razionale dalla materia egregiamente dominata e asservita.
Giovanni Orelli appare qui un innamorato entusiasta, che nei versi mostra le tenerezze e le improvvise rabbie di tutti gli amanti:
così vi insulto miei versi, veterosonetti / vi chiamo rimbambiti libidinosi antipatici avari / male invecchiati trasandati: sì, ciabatte, / voi versi siete le mie capre malnate / e io il becco che dovrebbero castrare. / C’è un punto, sotto il sole, tutto per voi: voi fate latte.
Un latte nutrito da timo, maggiorana e altre sapide erbe, che il vulcanico poeta-narratore-saggista ticinese ha lasciato in eredità ai tanti lettori che tuttora avvertono la sua mancanza.
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