Nessuna voce dentro. Un’estate a Berlino ovest
- Autore: Massimo Zamboni
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2017
Credo stia nelle cose: Massimo Zamboni-scrittore comincia dove finisce Massimo Zamboni musicista-autore. Ho letto il suo “Nessuna voce dentro. Un’estate a Berlino Ovest” (Einaudi, 2017) e l’ho trovato riverberante delle stesse reveries sovietiche – con diramazioni proto-punk da Patto di Varsavia – che fiammeggiavano nei CCCP Fedeli alla linea da lui fondati e per i quali ha scritto e suonato (militato) dal 1986 al 1990, più o meno. “Nessuna voce dentro” racconta l’humus, il credo, la semina e il tempo prima.
Nell’Italia neo-edonista e pre-liberista, in vacanza dalle ideologie dei primi anni Ottanta, chi non ci stava prendeva la sua roba e faceva sponda a Berlino. Era una specie di pellegrinaggio giovane. Una curiosità, piuttosto che una fuga “di formazione” verso un Nord cosmopolita, terra promessa di sex, drug & rock and roll (con diramazioni techno e punk) dove stilare (precoci) bilanci su se stessi, corroborare spirito on the road, ottiche divergenti, occupare case-macerie (fisiche e ideali), sfiorare vite e semmai fare anche a botte con la polizia. Alla luce del fatto che “La vita pare troppo lunga per accontentarsi” e per dirla nella prosa suggestiva/meta-sovversiva che – vivaddio – è ancora di Zamboni. Ci sarebbe anche (soprattutto) l’immanenza del Muro (di Berlino). Il Muro con cui fare i conti al netto della saudade ideologica. Il Muro dei Vopos di pattuglia. Il Muro come frontiera filospinata est/ovest, lo spettro del comunismo contro i fantasmi del capitale. Il Muro dei buoni e dei cattivi (ma a guardarla dal punto di vista dei cittadini comuni, dove stanno gli uni e dove gli altri?). Il Muro con il quale misurarsi comunque: coprotagonista, più che antagonista, del romanzo.
Per i tedeschi "Muro" è sostantivo femminile. È una signora, die Mauer. Una signora muraglia austera e disadorna, dal seno piatto, vestita di grigio”, scrive Zamboni che all’epoca, per sfangarla, serve ai tavoli berlinesi di un ristorante italiano, “avamposto della meridionalità più spermatica e terrosa.
“Nessuna voce dentro” è dunque un racconto meta-autobiografico. Si scrive di fame e sete di vita, si scrive di vite over e underground, sopravvissuti e sopravviventi, storia siamo noi attenzione – Cristiane F., freakkettoni, obiettori di coscienza, punkitudine, viaggiatori d’occidente, suonatori di chitarra in erba, gestori di ristoranti a duemila e passa chilometri da casa che siamo -.
“Rasati, capelloni, isterici, gioiosi, intossicati: piccole schegge sconclusionate in cerca di qualcosa che non sanno” partono e vanno a Berlino. E forse c’entrano più la musica di David Bowie e il bisogno di fare le ore piccole che la massiccia silouette del Muro, anche se all’epoca il peggio deve ancora darlo con la mercificazione turistica a venire.
Tutti coloro che agli inizi degli anni Ottanta andavano a Berlino con la stessa intensità con cui gli eroi di Allen Ginsberg “Andavano a Denver, morivano a Denver, ritornavano a Denver e aspettavano invano".
Poi come sempre svapora l’estate insieme forse a qualche sogno, e si contempla l’idea del ritorno a Itaca (nostalgia di casa propria?). Massimo viene peraltro da Reggio Emilia, una specie di Leningrado già di suo e insomma poteva andargli decisamente peggio. Siamo ai capitoli finali del romanzo e all’(in)apparente resa dei conti. Sulla pista ombre/luci di uno dei luoghi dove è possibile accumulare ricordi abbandonandosi a ultimi tanghi (si fa per dire) a Berlino, c’è Massimo e c’è un ragazzo della sua città – amici, militanze, sentire comuni –. Si chiama Giovanni Lindo Ferretti e chissà se era scritto nel firmamento del rock che i CCCP – col loro carico immaginifico di filosovietismo all’emiliana e il sound ipnotico di un punk contiguo all’ideologia più che al no future - stavano per diventare un gruppo leggendario. “Nessuna voce dentro” è solo la premessa a tutto questo. Il seguito va cercato nei libri di storia della musica italiana con peso specifico. A ja ljublju SSSR. Tradurre dal russo, prego. Se ancora si può.
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