Nessuno accendeva le lampade
- Autore: Felisberto Hernandez
- Genere: Raccolte di racconti
- Casa editrice: La Nuova Frontiera
Felisberto Hernandez è stato, a giudizio unanime, il più grande scrittore della letteratura uruguayana. Suo grande ammiratore fu Italo Calvino, che lo definì un “irregolare”: in effetti i suoi racconti, raccolti nel piccolo volume che porta il titolo del primo racconto, sfugge ad ogni classificazione.
“Nessuno accendeva le lampade” descrive un salone dove, in un tempo imprecisato, ad un’ora imprecisata del pomeriggio, l’io narrante sta leggendo un racconto di fronte ad un pubblico seduto dinnanzi a lui che tuttavia lo distrae: due vedove con lo chignon, una giovane donna dai capelli folti e in fondo una statua. Il racconto letto ad alta voce parla di una donna che tenta di suicidarsi ma ogni volta torna sui suoi passi per un ostacolo improvviso. Tra il pubblico si scorgono altri personaggi, con i quali il lettore entra in contatto: un politico, un giovane stempiato, ma tutto sembra svolgersi tra realtà e sogno, tra fantasia e attesa del futuro. I personaggi si confondono con animali, una volpe, una gallina, dei colombi, la conversazione si fa rarefatta, alla fine della lettura, le voci si abbassano, la stanza si fa buia, ma nessuno accenna ad accendere le lampade. Un senso di indefinita indeterminatezza aleggia nell’atmosfera creata da una scrittura analitica ed astratta allo stesso tempo...
”Voleva esprimersi bene ma stentava a trovare le parole; e inoltre si perdeva in giri di frasi e digressioni”
Ecco la citazione che meglio riassume lo stile scelto dal narratore.
Gli altri racconti (undici in tutto, brevi ma fulminanti, per certi versi ricordano i Dubliners joyciani), hanno titoli emblematici, tra cui La maschera, Il balcone, Il cuore verde, Le due storie, Il mio primo concerto. Quest’ultimo appare presumibilmente autobiografico (lo scrittore era pianista in origine e solo in un secondo tempo sceglie la letteratura come mezzo per esprimere la propria creatività): il narratore è alla vigilia della sua prima esibizione, vive questo momento con grande e crescente tensione, insicuro, incapace di credere di farcela. Non sa se riuscirà a dominare i movimenti delle mani, che gli appaiono come qualcosa staccata dal suo corpo, dotate di vita propria, ridotte a due pendoli oscillanti, come ha visto fare a molti pianisti al momento di salutare il pubblico dopo il concerto.
Il racconto si conclude in modo surreale: durante la difficile esecuzione l’artista immagina che un gatto nero sia salito sulla tastiera impedendogli di concludere degnamente l’esibizione tra le risate e i mormorii del pubblico. Un pezzo di bravura del narratore che riesce a confondere il lettore nell’ambiguità di ciò che sta descrivendo, lasciandolo incerto e quasi spaesato: uno stile spiazzante, attraverso una lingua precisa ed allusiva nello stesso tempo. Una grande solitudine, un senso di incomunicabilità coniugata con un rapporto ambiguo con il reale, mentre il sogno e la fantasia sembrano spesso avere il sopravvento, sono la caratteristica di tutti i racconti, sia che i protagonisti siano umani, sia, come nel caso del bellissimo “La donna che mi assomigliava”, il narratore sia stato un cavallo:
“Qualche tempo fa ho cominciato a pensare di essere stato un cavallo…Appena mettevo a letto il mio corpo d’uomo, i miei ricordi di cavallo cominciavano a farsi avanti.”
Pubblicati per la prima volta nel 1947, i racconti di Hernandez rivivono nella traduzione italiana nel 2012 grazie alla casa editrice “La Nuova Frontiera” che nella letteratura latino-americana ha trovato la propria forte identità editoriale.
Nessuno accendeva le lampade
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