Nome d’arte Doris Brilli. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò di Andrea Vitali

Andrea Vitali confeziona un libro ogni sei mesi, quasi, ma mai una sbavatura, un calo di ritmo, costante l’ironia lieve sulle vicende del mondo, anche in “Nome d’arte Doris Brilli”.

La notte del 6 maggio 1928, schiamazzi e strilli fuori da un bar (parola vietata durante il fascismo perché straniera).
I carabinieri fermano, tra gli altri, un giornalista e una ballerina che deve tornare al paese natio col foglio di via.
La mattina stessa Doris che in verità si chiama Desolina è interrogata dal giovane Maccadò che è assai contento che il sole sia arrivato. Sì, perché il maresciallo con la giovane moglie, avevano patito il freddo ma soprattutto l’umidità di una casetta sul lago. Tristezza che era entrata anche nella camera da letto, sebbene Maccadò volesse sei o più figli.
Questi pensieri gli erano venuti nel cicaleccio della Doris, ragazza bella che rischiava di non trovare alloggio a casa dei genitori; per questi ultimi era una figlia svergognata senza onore.
Quirico, padre della ragazza si accorda con il prete del paese: riprende la sciagurata solo per dieci giorni poi la caccia; in quel periodo lei deve andare solo a messa e poi sempre chiusa in camera.
Nel frattempo le giornate si fanno più calde ma non afose; per il maresciallo il tempo è ottimo per iniziare a fare il primo figlio, poi si vedrà.
Nel frattempo ai carabinieri compete solo il caso di un ritrovamento di una tabacchiera. La proprietaria dell’oggetto è Giannetta Passanò, orfana di madre, che vive con sua zia zitella e il padre Delmerio. Quest’ultimo che si fa chiamare l’ingegnere, anche sa ha solo il diploma, non fa altro che trovare bravi ragazzi per la figlia che va verso i venticinque anni. Giannetta deve passeggiare e mangiare con giovani uomini poco divertenti che parlano di lavoro, anche quando resta sola con uno di quei noiosi.
Ragazza sfortunata portava nella tabacchiera di maman delle compresse per attacchi asmatici, ma solo una persona la calma, e non vi diremo chi.

Un vero guazzabuglio, tanto che Andrea Vitali alla fine di “Nome d’arte Doris Brilli” mette un’appendice con tutti i nomi che ha usato in questa commedia umana.