

Non piangere
- Autore: Lydie Salvayre
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Prehistorica Editore
- Anno di pubblicazione: 2024
Chissà perché associo queste considerazioni riportate da mia madre a una frase di Bernanos che ho letto proprio stamattina […] A pensarci meglio, questa frase ha a che fare più che altro con il presente. Del resto mi rendo conto, ogni giorno di più, che il mio interesse appassionato per i racconti di mia madre e per quello di Bernanos è legato essenzialmente agli echi che risvegliano nella mia vita di oggi.
Ci sono tutta la potenza, tutto il progetto e tutti i numerosi e necessari fili del romanzo Non piangere, in queste poche righe di Lydie Salvayre. Nel suo libro più celebre, edito in Italia da Prehistorica nel 2024 con l’eccezionale traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala, testo che le è valso il prestigiosissimo premio Goncourt nel 2014, l’autrice francese infatti torna indietro a un momento fondamentale, insieme, per la storia dell’Europa intera e per quella di sua madre, Montse, la vera protagonista, in un complesso intreccio non solo di trama, ma di intenti ed emozioni e ancora preziose osservazioni.
Le vicende si svolgono nella Spagna degli ultimi anni Trenta, devastata e insanguinata dall’orrore della guerra civile. Nell’estate del 1936, Montse è una ragazzina di quindici anni che osserva quel mondo piccolo quanto lo è il suo villaggio, dove ogni contrapposizione, ogni bianco e nero si sono trasformati in conflitto armato; per ogni credo una contestazione, per ogni vecchio relitto del passato un’aspirazione al cambiamento, per ogni parola urlata a un angolo della strada un’altra, dal lato opposto dello spettro, gridata all’angolo successivo. Perché le forze in gioco nel conflitto spagnolo, che porterà all’instaurazione del regime dittatoriale di Franco, sono forse lo specchio più profondo e meno deformato di tutto il Novecento.
Anche Montse e il fratello José diventano attori di questo periodo. E se la prima, inizialmente, è lo sguardo poco consapevole che osserva senza troppo capire, José, dal canto suo, è uno dei promotori della lotta. Fra le sue labbra affiorano le nuove parole del cambiamento e il suo nervosismo in famiglia è quello di chi non ci sta più, a subire le vecchie regole asfissianti, ed è pronto a scendere in campo. Fra le invidie e le dicerie di un villaggio dove apparentemente tutti sanno tutto di tutti, questo vento di guerra e novità sconquassa gli equilibri; così i due fratelli si ritrovano ad abbandonare la casa materna e ad approdare in uno di quei centri urbani spagnoli dove, per una parentesi troppo breve di tempo, parve instaurarsi la grande utopia comunista e libertaria del secolo passato, con la creazione di comuni autogestite
fuori dal controllo del potere centrale, senza più polizia, né tribunali, né padroni, né denaro, né chiese, né burocrazia, né tasse, in una pace quasi assoluta.
Per Montse, quell’estate del ’36 è il punto più alto, il cuore pulsante di tutta la sua esistenza. È lei stessa, oramai anziana e con gli acciacchi destabilizzanti dell’età, a raccontarne le vicende alla figlia, che commenta, mette in ordine ma riporta ugualmente le parole della madre, mantenendo intatto il franiol, il francese degli immigrati spagnoli, che inciampa fra errori ortografici e ricalchi iberici.
Ascolto mia madre e per l’ennesima volta mi pongo la domanda che continua a frullarmi per la testa da quando ha cominciato a raccontarmi la sua fantastica estate: Che cosa è rimasto in lei di quell’epoca, oggi inimmaginabile, in cui c’era gente che bruciava mazzi di banconote per manifestare il proprio disprezzo nei confronti del denaro e di tutte le follie che va causando? Solo qualche ricordo, o qualcosa di più? I suoi sogni di allora si sono dissolti? Sono caduti in fondo al suo essere come le particelle che si depositano sul fondo di un bicchiere? O c’è ancora una fiammella che brilla nel suo vecchio cuore, come adoro credere?
Non sono però soltanto ricordi gioiosi. Al di là della guerra, sanguinaria e mortifera, le pagine di Non piangere sono soprattutto la descrizione della parentesi prima ascendente e poi discendente di un’ideologia (in questo aspetto, mi vengono alla memoria i meravigliosi romanzi di Kundera, forse lo spaccato più preciso del comunismo europeo novecentesco), che racconta la rottura interna dei movimenti, la scesa a compromessi delle idee e, eternamente presenti, i dolorosi cortocircuiti delle esistenze dei singoli individui, come quelli vissuti da Montse in tutta la seconda parte del romanzo.
A bilanciare questo quadro fra l’intimo e lo storico, Lydie Salvayre immette nei ricordi della madre la narrazione del soggiorno spagnolo di Bernanos, scrittore francese che visse e scrisse della guerra civile spagnola e dei suoi aspetti più ripugnanti riguardanti la compartecipazione della Chiesa e dei fascismi europei.
Georges Bernanos (1888-1948) era infatti uno scrittore molto vicino all’Action française, un movimento politico d’oltralpe che faceva proprie idee monarchiste e nazionaliste. Già celebre in patria per aver scritto Sotto il sole di Satana e Diario di un curato di campagna, lo scrittore si ritrova alle Baleari proprio allo scoppio del conflitto; su isole minuscole e percorribili a piedi in poche ore, Bernanos assiste ai massacri, alle insurrezioni e all’abbondante sangue sparso ma, soprattutto, scorge l’appoggio della Chiesa al movimento franchista, con esecuzioni e proiettili sparati in nome di Cristo. Lydie Salvayre illustra così i rovelli interni e il coraggio di un uomo costretto a ripensare e capovolgere totalmente i propri ideali, fino alla scrittura del pamphlet I grandi cimiteri sotto la luna, in cui denuncia apertamente i crimini commessi dalla Falange e la connivenza, a un certo punto non più silente, di vescovi, arcivescovi e singoli preti imbavagliati dal Vaticano.
I preti di Spagna, quasi tutti umili, quasi tutti lontani dagli ambienti del potere e vicini al popolo, si piegarono volenti o nolenti ai princìpi espressi nella lettera, che sosteneva in modo incondizionato il generale Franco, e dovettero anteporre la sottana alla coscienza. Molti furono quelli che pagarono con la vita.
La doppia elica di due destini diversi, quelli di Montse e di Bernanos (o sarebbe meglio dire dei tre, per la fortissima presenza dell’autrice e voce narrante a ogni pagina?), rendono Non piangere un’opera completa e sfaccettata. Di quest’immersione in quello che è anche il suo, di passato, il nocciolo della sua famiglia, Lydie Salvayre fa un resoconto della Storia nel senso più alto del termine e insieme una memoria intima e collettiva, un romanzo
autobiografico, storico, sperimentale, morale (mai moralistico)
come scrive Marcello Fois nella saggia prefazione. Il risultato è semplicemente stupefacente.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Non piangere
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