Norwegian Wood (Tokyo Blues)
- Autore: Murakami Haruki
- Categoria: Narrativa Straniera
Sono sicura che tutti quelli che l’hanno letto saranno d’accordo nell’affermare che a “Norwegian Wood” di Haruki Murakami spetta di diritto un posto d’onore nella classifica dei libri più belli e intensi che siano mai stati scritti.
Tornato prepotentemente attuale dopo l’uscita In Giappone, a dicembre, dell’omonimo film di Anh Hung tratto dal romanzo – film che aveva già partecipato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia – in molti conoscono questo libro con il titolo di “Tokyo Blues”, quello che per anni è stato il titolo della prima edizione italiana di Feltrinelli.
La nuova edizione Einaudi ha preferito invece recuperare il titolo originale, quello di una famosissima canzone dei Beatles le cui note rispecchiano alla perfezione l’atmosfera rarefatta e malinconica che pervade le pagine del libro, intrise di rimpianto, nostalgia e qualcosa di ineffabile che il lettore non riesce mai a cogliere fino in fondo, pur rimanendone fortemente impressionato.
È davvero difficile spiegare a parole la magia sprigionata da questo romanzo, la cui lettura è stata per me, come per molti altri lettori con cui ho avuto il piacere di confrontarmi, estremamente dolorosa.
Seguendo la falsariga di quello che può essere definito a tutti gli effetti un romanzo di formazione, Haruki Murakami scava nell’animo del protagonista, Toru, dando però sempre l’impressione di restare in superficie, lieve e spontaneo come la sua scrittura.
Eppure non potrebbe andare più in profondità di così, perché l’animo del giovane studente è in fondo anche il nostro, i suoi tormenti sono stati anche i nostri, così come la difficoltà di scendere a compromessi con l’amore e il sesso, l’incapacità di capire gli altri, perfino gli esseri che più amiamo al mondo, e stabilire un contatto profondo con loro.
L’impossibilità di comunicare stati d’animo che noi stessi fatichiamo a comprendere e a districare e infine gli errori, i mille e più errori che inevitabilmente ci condurranno sul sentiero della maturità, chiedendoci se diventare adulti in fondo non significhi soltanto rinunciare ai nostri folli sogni, agli ideali e a tutto ciò per cui pensavamo valesse la pena combattere.
La giovinezza di Toru viene narrata attraverso un lunghissimo flashback che permette all’autore di avvalersi dello sconosciuto, affascinante quanto capriccioso meccanismo della memoria, che trasfigura gli eventi a suo piacimento, cancellando infinite parole, pensieri e immagini ed enfatizzandone crudelmente altri, trasformandoli in ricordi inevitabilmente destinati a segnare la nostra intera vita.
Accade così che la vita di molti uomini ripieghi costantemente sul passato, accartocciandosi e confondendosi con esso, destinato a marchiare per sempre le nostre esistenze. Notevoli sono tutti i personaggi, principali e non, che Murakami sa tratteggiare con maestria degna di un genio.
Li sentiamo quasi vivi, partecipi, pulsanti vita, passione e soprattutto dolore, secondo una tradizione ben consolidata e tipicamente giapponese, che vede la vita e la sofferenza intrinsecamente legate fino a giungere spesso al’estrema conseguenza, il suicidio.
"Norwegian Wood" non è un romanzo “allegro”, né facile. Tutt’altro. È tristemente splendido.
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Complimenti per questa tua bella recensione.
Anch’io ho amato tantissimo "NORWEGIAN WOOD", mentre lo leggevo, ma anche a lettura terminata: sono tornata spesso a rileggerne dei passaggi che avevo sottolineato durante la lettura.
In particolare mi è piaciuto l’ampio spazio dato dall’autore a riflessioni sul sentimento della NOSTALGIA per un passato perduto, che non ritorna... nostalgia per gli anni della giovinezza in cui le sensazioni vengono tutte un po’ "amplificate" (questo accade ad es. per l’amore, per i grandi ideali politici...).
Splendide le descrizioni di stati d’animo e sensazioni, ma anche dei paesaggi, sempre comunque finalizzati a raccontare un tipo di "sentire" che, a mio parere, è difficile ritrovare nei romanzi di scrittori "occidentali".
Pagine fatte di parole delicate, da sfogliare come petali di un piccolo fiore fragile, da proteggere, da tenere nel cuore.
Infine, come un cameo, ho trovato di incredibile e raffinato estetismo la descrizione di Naoko quando si toglie la camicia da notte blu, nella notte, nel buio della stanza, di fronte a Watanabe: magistrale il "ruolo" svolto dalla luce lunare che illumina il suo corpo nudo, accarezzandolo...