One Man Caravan di Robert E. Fulton Jr.

Strana ma poetica contraddizione. Nell’era degli aerei supersonici e dei treni superveloci c’è ancora una rara razza di uomini che preferisce viaggiare con un mezzo sicuramente scomodo e antico, ma in grado di restituire grandi emozioni: la motocicletta.
Correndo in moto non ci sono oblò che ti dividono dalla natura e dal paesaggio. Certo, non c’è neppure l’aria condizionata e i moscerini diventano presto degli abusivi compagni di viaggio, però volete mettere la libertà di fermarvi quando volete e di intrufolarvi nel sentiero che improvvisamente suscita la vostra curiosità? Se poi si tratta addirittura di farci il giro del mondo…

Ciò che più mi ha divertito di questo libro firmato da Robert Edison Fulton Jr., oltre naturalmente alla gran mole di notizie e curiosità sui luoghi più sconosciuti e più sperduti del mondo, come il Waziristan, è la forma. “One Man Caravan” è infatti concepito come un diario, con tanto di foto incollate sulle pagine e commenti.
Immagino il primo manoscritto pieno di macchie d’olio, sabbia del deserto, cotto dal sole e bagnato dalla pioggia. Vissuto come i quadri di Edvard Munch, pieni di sporcizia e crepe perché l’autore amava appenderli agli alberi del suo giardino, esposti alle intemperie, per fargli vivere vita propria.

Ulteriore elemento di interesse, come si evince dalla foto in copertina che ritrae Fulton in sella alla sua moto, è che tutto ciò avviene nel lontano 1932. A parte quindi l’inaffidabilità del mezzo, il tema principale è la scoperta di un mondo non ancora contaminato e non ancora raccontato (il contrario di oggi). Così la massima parte del libro è dedicata all’Asia e all’Oriente: i luoghi all’epoca meno conosciuti e più densi di leggende.

La scrittura infine è fluida e scorrevole… tutto il contrario delle strade con cui deve essersi misurato questo studente americano, fresco di laurea ed animato da uno spirito decisamente temerario.
Affascinante come un libro di Giulio Verne, ma sicuramente molto più aderente alla realtà.