Orfeo. La nascita della poesia
- Autore: Roberto Mussapi
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Che cosa sarebbe il mondo senza musica, senza suono e parola? Se mancasse il primo "fiat", se non esistesse l’"Om" creante?
Semplicemente il mondo non sarebbe. Sono sconfinata nella tradizione giudeo cristiana e induista, ma la stessa cosa, il mondo musica, il mondo parola, si riscontra nel mondo greco. È Orfeo, figlio di Apollo, ad impregnare tutto l’esistente con la sua musica, garantendone l’esistenza e la continuità.
Questo è l’assunto dell’ottimo libro Orfeo. La nascita della poesia (Gedi edizioni, pp. 153, 2023), a cura di Roberto Mussapi, egli stesso poeta, capace di introdurre il lettore nel mito con una narrazione che incanta. Il mito in generale, afferma lo scrittore, non è storico, precede la storia; è la sua rappresentazione ad assumere connotati storici, calandosi nello spirito delle varie epoche. Un mito non ha età.
Nello specifico, Orfeo, inventore del canto e della poesia, ammaliatore di pietre, vegetazione, animali, fiere rese miti e mansuete, uomini e dei, è il garante dell’immortalità. Il tutto da lui animato non ha fine.
Scrivere poesia significa reagire alla morte, sognare che qualcosa sopravviva grazie alla memoria e alla parola, e alla musica che adombra l’eterno moto delle Sfere.
Così scrive Roberto Mussapi. Rifacendosi al Virgilio delle Georgiche e a Ovidio nelle Metamorfosi passa in rassegna le gesta di Orfeo, la sua partecipazione alla conquista del vello d’oro insieme agli Argonauti, salvati dalla sua lira e il canto superiore a quello nefasto e distruttivo delle sirene, che sovrasta.
Lo mostra “cronista” dell’amore infelice tra Apollo e il giovinetto Giacinto, ucciso dal dio per errore, e divenuto fiore, quindi in grado di rinascere ad ogni primavera. Orfeo, maestro anche di Omero, perpetua il dolore di Cipresso, giovane trasformato nell’albero che adorna i camposanti perché anche lui uccide l’amato giocando al lancio del giavellotto. La poesia non può evitare la morte, ma può combattere l’oblio.
Mussapi racconta la vicenda disperata di Orfeo e dell’amata Euridice, uccisa dal morso di una vipera. Il grande musico vuole riportarla tra i vivi, scende nell’Ade e come sappiamo convince, suonando, Plutone e Proserpina a restituire alla luce la giovane, ma a un patto: lui precederà la fanciulla nella risalita dagli inferi e non dovrà mai voltarsi indietro per accertarsi che lei lo segua. Orfeo non resiste, preso dall’ansia si volta, Euridice viene risospinta all’indietro, scompare pronunciando il nome di lui con voce flebile. Totalmente affranto, Orfeo respinge ogni donna e per questo viene sbranato dalle Baccanti offese. La sua testa e la lira, giunte nel fiume Ebbro, continueranno a cantare per sempre.
Le variazioni sul mito nel tempo, dal Poliziano a De Chirico, Alberto Savinio, passando per il magnifico Rainer Maria Rilke (I Sonetti a Orfeo) sono di Salvatore Renna. Renna nomina tutti gli autori che hanno trattato il tema, a volte cambiandolo (secondo me non è lecito), come Cocteau che trasforma i protagonisti in due coniugi litigiosi e fa ritornare Euridice per prolungare gli alterchi. Italo Calvino salva Euridice e sprofonda Orfeo insieme a Plutone; Claudio Magris trasporta la scenografia in una casa di riposo (Lei dunque capirà) e la donna dichiara che il marito vorrebbe seguirla solo per salvare il suo canto.
Paola Mastrocola (La narice del coniglio) considera Orfeo un grande narciso, interessato solo a se stesso. Cesare Pavese nei Dialoghi con Leucò dimostra che la morte vince sulla poesia; così è stato per lui, ma "verrà la morte e avrà i tuoi occhi" è il suo verso altamente poetico che travalica il tempo. Renna non dimentica Bufalino, né il cineasta brasiliano Marcel Camus con il suo film "Orfeo negro".
Peccato che dimentichi Alda Merini e la sua prima silloge, notevole, La presenza di Orfeo, pubblicata nel 1953 con gli auspici e gli elogi di Natalino Sapegno e Montale.
L’adolescente Merini, identificandosi lucidamente con Euridice, sa che morirà (la malattia mentale per molti anni sarà la sua morte), eppure sa anche altro, come Rilke sapeva, nei suoi sonetti. Possiamo confrontare alcuni versi di quest’ultimo:
E se la terrestrità ti ha dimenticato, / di’ alla terra immota: io scorro. / Alla rapida acqua parla: io sono.
(Traduzione di F. Rella, Feltrinelli)
Con questi di Alda Merini:
Ma ci si può avanzare nella vita / mano che regge e fiaccola portata / e ci si può liberamente dare / alle dimenticanze più serene / quando gli anelli multipli di noi / si sciolgono e riprendono in accordo, / quando la garanzia dell’immanenza / ci fasci di un benessere assoluto.
In entrambi aleggia il panpsichismo redentore.
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