Ottobre 1917. La rivoluzione pacifista di Lenin
- Autore: Michele Prospero
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
L’ottobre rosso era un ottobre triste. L’inizio del 1917 sorprende la Russia in ginocchio. La guerra non fa sconti di alcun tipo, si perdono le battaglie e si perde la vita: milioni di morti, pochissimi rifornimenti. L’esercito male in arnese e fatto per lo più da contadini che non vedono l’ora che lo stillicidio finisca. Sta male anche la popolazione civile – mancano viveri e manca combustibile -, prima ancora che una rivoluzione anti-capitalista, la rivoluzione russa è stata quindi una rivoluzione realizzata per spirito di sopravvivenza. Alla guerra. Per questo rivoluzione “pacifista”, secondo Michele Prospero nel saggio che dedica all’argomento (“Ottobre 1917. La rivoluzione pacifista di Lenin”).
Si sarebbe trattato, in altre parole, di una “guerra alla guerra”: la sollevazione di massa a difesa della vita di una nazione intera. Obiettivo reso possibile attraverso le coordinate:
- dell’immediata cessazione del conflitto;
- del potere ai soviet operai;
- della ridistribuzione della terra ai contadini;
Il disegno bolscevico di Vladimir Ilich Uljanov, passato alla storia come Lenin, primo atto di una dittatura del proletariato che, per contagio ideale, avrebbe dovuto estendersi all’Europa e che, di fatto, fece proseliti soltanto in Cina. A questa sorta di iato storico Michele Prospero fa risalire le radici del naufragio del regime sovietico a seguire: il socialismo rimane prerogativa russa, il resto d’Europa si mantiene ancorato a un’organizzazione economico-sociale di impianto capitalistico. Amen. A p. 93, Michele Prospero si interroga così sulle ricadute storiche di una rivoluzione rimasta giocoforza circoscritta:
“La logica di adattabilità al comunismo era ab origine limitata e l’assorbimento di motivi liberali non poteva spingersi oltre la congiunzione di forme di mercato e di governo di partito. Che ne è dell’Ottobre, visto da Lenin come ‘un passo di portata storica mondiale, che è entrato nella storia del mondo come una svolta tra un’epoca e un’altra?’”.
Quindi conclude (pp. 93-94), con incontrovertibile lucidità:
“La vittoria del capitalismo sul suo antagonista interno (il comunismo, ndr) ha estirpato dalle democrazie una tensione conflittuale produttiva di eventi, di logiche correttive rispetto al piano nichilistico del capitale che con il crollo sovietico ha superato un limite alla globalizzazione dei traffici finalmente condotti all’insegna della dittatura della forma di merce”.
Come dire: dalla tensione rivoluzionaria - e fascinosa - della dittatura del proletariato alla dittatura disideologica del capitale. Non so a voi, a me il passaggio suona come ontologicamente angosciante.
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