Pane Nero. Donne e vita quotidiana nella Seconda Guerra Mondiale
- Autore: Miriam Mafai
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
“... però, in fondo, è stato bello”.
Nella prefazione la giornalista, scrittrice e politica, da sempre vicina al movimento per l’emancipazione femminile, nota che era questa la frase ricorrente nei ricordi delle donne che avevano vissuto il periodo 1940/45. Il saggio è un come eravamo quotidiano negli anni di guerra redatto dalla Mafai che “aveva nel sangue la capacità e la voglia di comunicare”, come ha scritto Eugenio Scalfari all’indomani della scomparsa della giornalista, tra i fondatori de La Repubblica, avvenuta il 9 aprile scorso.
“... però, in fondo, è stato bello” perché Carla e Lucia, Marisa e Luciana, Lela, Cesira e la stessa Miriam mentre la guerra andava assumendo aspetti sempre più tragici, “dovettero imparare in quegli anni a decidere da sole, senza l’aiuto né la tutela di padri, mariti, fidanzati”. In un periodo storico nel quale l’unico obiettivo della donna era il matrimonio “sposarsi dunque, sposarsi a tutti i costi”, e la figura femminile doveva necessariamente essere “docile, passiva” rassegnata al suo destino, ”ognuna di noi divenne, nel pericolo e nella miseria, più padrona di se stessa”. Secondo Mussolini “il vero posto della donna, nella società moderna, è, come nel passato, nella casa” ma “Carla fu assunta alle Poste nel marzo del 1941”, Adriana divenne tranviera, la sarta Biki a Milano continuava a confezionare abiti da sogno e dopo l’8 settembre del ’43, in una Roma dichiarata Città Aperta, Miriam diventò staffetta partigiana distribuendo volantini contro l’occupazione tedesca.
L’evocativo titolo ricorda quel pane nero razionato di qualità scadente che la popolazione italiana era costretta a mangiare.
“La tessera era un cartoncino grigio, con un numero, il nome e tanti tagliandini a ognuno dei quali corrispondeva una certa quantità di pasta, riso, olio, burro, zucchero”.
L’Italia aveva fame di libertà, di pace, dalla campagna di Russia nell’inverno del 42 i soldati scrivevano a casa “non si tratta più di vincere, si tratta solo di sapere se torneremo vivi”. Eppure l’avventura bellica era iniziata con toni trionfalistici alle ore 17 di lunedì 10 giugno 1940. “L’estate si annunciava calda”. Quel giorno Silvia di origine ebraica a Genova ripassava la grammatica greca in vista degli esami di ammissione al liceo, la mondina Zita in provincia di Reggio Emilia era stata avvisata dalla capa che quel pomeriggio avrebbe terminato il lavoro un’ora prima per ascoltare il discorso del Duce. “Ma l’amore no, l’amore non si può disperdere nel vento con le rose... a Roma, Carla canticchiava davanti allo specchio cercando di dare ai capelli la piega voluta”. Roma era esaltata mentre dal balcone di Palazzo Venezia Mussolini dichiarava: “Un’ora segnata dal Destino sta per scoccare sul quadrante della Storia, l’ora delle decisioni irrevocabili... ”.
“Finalmente... ” come sussurrò Claretta Petacci, l’Italia entrava in guerra. Quattro anni dopo il 4 luglio del 1944 una Roma “miserabile ed euforica” avrebbe salutato l’ingresso nella capitale delle truppe alleate del Generale Alexander. Indimenticabile la sensazione di liberazione e di felicità di una donna romana “ma una mattina all’alba, sentii che qualcosa stava succedendo per la strada. Scesi di corsa le scale; il portone era già aperto. E in quella luce incerta vidi il primo americano della mia vita”. Era l’alba di un giorno nuovo per la prima capitale europea a essere liberata dagli alleati, neo realisticamente descritto dall’autrice che il Presidente Napolitano ha ricordato come “una delle più forti personalità femminili italiane degli scorsi decenni, erede di un’alta tradizione intellettuale artistica e famigliare”.
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