
Se a Milano c’era stato Carlo Porta, a Roma più tardi arrivò Giuseppe Gioachino Belli, che resta il poeta dialettale più famoso ancora oggi; e poi a istradarlo fu proprio Porta che scriveva in milanese, una dialetto più trattenuto, meno caciarone, difficile, anche se poi il monologo più famoso resta La Ninetta del verzee, del 1814, con tutte le vicissitudini e le malinconie di Ninetta, che faceva la prostituta.
Belli arrivò dopo e conosceva i sonetti, le canzoni, le poesie di Porta, ma il dialetto romanesco resta tuttora il più leggibile, forse anche più volgare, nel senso proprio di più popolare rispetto al dialetto milanese, travolto prima dagli austriaci e poi dagli emigranti del sud, molto più tardi. Belli era più ingegnoso; forse il dialetto romano si presta più alla volgarità ed era più conosciuto del milanese. Per conoscerlo ancora meglio, ecco che esce un interessante volume dal titolo Parola di donna. Sonetti per voce femminile (Vallecchi, 2025, curatela di Pietro Gibellini).
Coi suoi sonetti, Belli ha dato voce agli umiliati, agli offesi e ai poveri del popolo di Roma, dal 1830 al 1847. Tantissimi, che per stile e contenuto, venivano ammirati dai poeti che scrivevano i versi in italiano. La situazione attuale è che i sonetti del Belli più famosi sono rimasti incancellabili; mentre delle poesie scaturite negli anni sperimentali del Gruppo 63, nel 1963 appunto e quindi solo sessanta anni fa, nessuno tiene a mente le poesie di Nanni Ballestrini o Edoardo Sanguineti, i sonetti del Belli entrano nel romanesco attuale ma pure nelle canzoni del festival di Sanremo. E pure Pier Paolo Pasolini trascriveva dal dialetto romano le parole recitate dagli attori della strada, come nel film “Accattone” del 1961, con Franco Citti.
In questo libro ci sono sonetti scelti dal curatore che riguardano solo le le donne. Belli scrisse per le donne della prima metà dell’Ottocento, che avevano pochissimi diritti, ma il più delle volte erano le romane a salvare una casa, una rendita, un lavoro. Il maschio del popolo romano, sempre di quel periodo, era la sicurezza per la sua famiglia, ma anche "dittatore", spesso fannullone e strozzino insieme; nell’immaginario mentale è lo scansafatiche ipocondriaco. Alberto Sordi è il nuovo che avanza nel cinema; in realtà lui, per i suoi personaggi, ha preso tanto dal bellissimo florilegio del poeta romano.
Le donne del Belli scherzano sguaiatamente dei lori mariti e fidanzati, ma perlopiù sono ragazze assennate, che si vergognano spesso di avere una dote risicata. Per non parlare dell’intimità della prima notte di nozze. Imparano, certo, ma spesso è tutto dolore e strazio e i mariti non si accorgono di nulla. Gli uomini, invece, hanno quella stessa mentalità che dura anche adesso, che se hai pagato una donna è una prostituta e deve attenersi ai piaceri dell’uomo. In più, nell’immaginario attuale, si è perso il senso del sacro del sonetto romano.
Belli scriveva pensando che i versi più sconci glieli condonava il Padreterno. Ora la volgarità o il verso "vietato" è anche sulla bocca dei politici, uomini e donne, e si è persa e la dimensione del tragico e di quella del comico. Non riusciamo più a cogliere la grandezza poetica di Giuseppe Gioachino Belli.

Parola di donna. Sonetti per voce femminile
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