Pecore nere
- Autore: Igiaba Scego
- Genere: Raccolte di racconti
Esiste una scrittura femminile? E’ una querelle ormai annosa. Gli studi gender possono anche affermare che le donne, essendo più legate ai ritmi biologici del corpo, sono in linea di massima più attente a certi dettagli, alle dinamiche sensoriali che si svelano in contatti, gusti, odori ovvero in quelle sfumature che fanno la differenza nell’esperienza del quotidiano.
Basta poi però leggere "La ciociara" di Moravia o qualche pagina di Proust per sentirsi subito confusi, perché una certa dose di percezione al femminile attraversa la letteratura tutta, quasi come una intrinseca, imprescindibile natura innata, riscontrabile con potente intensità in ogni grande scrittore. Sono stati molti gli autori che del resto hanno privilegiato lo sguardo delle donne sul mondo, cogliendone l’irrinunciabile vocazione alternativa e trasgressiva: per questo motivo restano indimenticabili la madame Bovary di Flaubert, l’Anna Karenina di Tolstoj, la Molly Bloom di Joyce o il ’ritratto di signora’ di Henry James. Perfino un libro atipico come "Alice nel Paese delle Meraviglie" non sarebbe stato lo stesso se al posto dell’irrequieta e impudente protagonista ci fosse stato un maschietto. Eppure una tendenza tipica del femminile pare rintracciarsi in una sorta di stupefacente concentrazione immaginativa, in scene epifaniche, rivelatrici, come se improvvisamente il ritmo dei battiti quotidiani del cuore si modulasse su una differente, insolita sintonia. La poetica dell’attimo, di woolfiana memoria, trasfigura il momento ordinario in spiraglio di rivelazione esistenziale assoluta e, spesso, immedicabile.
E’ quello che accade per esempio in "Pecore nere", raccolta di racconti rigorosamente al femminile (le autrici sono quattro scrittrici) che sceglie di far convergere il punto di vista delle donne e un’ulteriore condizione atipica: lo stato di immigrate. Conciliare la cultura di origine (africana, araba, indiana...) con quella del Paese adottivo (in questo caso l’Italia) è spesso problematico, conflittuale, un passaggio dolorosamente irrisolto pure a distanza di anni. Senza accostarci ai vissuti di cui si fanno veicolo questi racconti dai toni così diversi eppure tanto affini, non potremmo dall’esterno non tanto capire - il capire è un fatto di testa dopo tutto - ma ’sentire’ allo stesso modo.
L’associazione Eks&Tra va ringraziata per la voce concessa a tali autrici, dal tono picaresco di Ingy, con le sue protagoniste dalle vite parallele alla caccia spietata di cittadinanze e integrazioni kafkianamente procrastinate, alla leggerezza briosa delle adolescenti di Leila, col loro slang internazionale e la sbandierata, ironica distanza dalle oppressive tradizioni famigliari d’origine. Ma il motivo per cui vale la pena aprire questo svelto libricino è rappresentato in primo luogo dal racconto di apertura, "Dismatria", di Igiaba Scego, un vero gioiellino. Qui la scrittura femminile, svelta e disinvolta, si condensa con grazia intorno all’epifanica scena conclusiva, una bellissima festa di liberazione al femminile, sospesa tra Luzi e Almodovar, collettiva e catartica: non la svelo perché la letteratura va letta, non raccontata. Non sfugga però la Roma dell’explicit, minuscola e tuttavia commovente all’estremo, fatta di quei dettagli che poco contano, infinitamente fanno la differenza e, spesso, solo le donne o i bambini colgono ancora. Il riconoscimento della ’matria’ meritava un simile amoroso omaggio.
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