In questi giorni non si parla d’altro che di Sanremo 2021. Tra i cantanti in gara e gli sketch dei conduttori ci sono tanti ospiti. Achille Lauro è forse il più chiacchierato, grazie alle sue performance sceniche e pregne di significato. Oggi scopriamo insieme i riferimenti letterari nella canzone del cantautore intitolata Penelope e nel monologo dell’attrice Monica Guerritore andati in onda durante la terza puntata del Festival, il 4 marzo 2021.
Per ogni serata sul palco dell’Ariston, Lauro racconta attraverso la sua arte cinque generi musicali attraverso altrettante canzoni e performance incorniciate in "quadri". Nella serata del 4 marzo, dopo il Glam Rock della prima serata e il Rock ‘N Roll della seconda, è la volta del Pop. Con Achille Lauro sul palco anche l’attrice Monica Guerritore e la cantante Emma Marrone, per interpretare e completare un quadro tutto dedicato a una delle figure letterarie più celebri della mitologia greca: quella di Penelope, moglie di Ulisse, protagonista dell’Odissea di Omero. Penelope è infatti il titolo della canzone di Lauro e anche la protagonista del monologo della Guerritore.
Quali sono i riferimenti letterari in questa articolata performance?
Chi è Penelope?
Penelope è la moglie di Ulisse, protagonista dell’Odissea, rimasta a Itaca durante il lungo viaggio del marito: con la sua scaltrezza e intelligenza riesce a mettere a punto uno stratagemma per non convolare a nozze con gli invasori, i Proci. Penelope promette infatti di prendere marito non appena terminata la lavorazione del sudario per il suocero Laerte, ma se di giorno tesseva la tela, di notte la disfaceva, prolungando così i tempi in attesa del ritorno del marito.
Nella sua canzone, Achille Lauro recita così:
"Dovrei crescere e avere niente, boh, yeah
Cuci come Penelope, sette fatiche di Ercole, no mai
Dal paradiso alla nemesi
Quattro minuti a piedi, sì
Senza dire ’sta storia, no, non ha fine"
Penelope nel monologo di Monica Guerritore a Sanremo 2021
Nel suo intenso monologo che ha preceduto l’esibizione di Achille Lauro con Penelope, l’attrice Monica Guerritore fa parlare Penelope stessa:
"Da quando sono morta ho imparato cose che avrei preferito non sapere, come quando si origlia dietro le porte. Ulisse mi ha raggirata, sostiene qualcuno. Si sapeva che era scaltro e bugiardo, ma non avrei mai pensato che avrebbe usato la sua astuzia anche con me. Non gli ero stata fedele? Non avevo aspettato, vincendo la tentazione, quasi un impulso naturale a comportarmi in un altro modo? Cosa ho raccolto? Sono diventata una leggenda, un bastone con cui colpire altre donne, che non avrebbero saputo essere oneste, pazienti come me. Ma io avrei solo voluto gridare: “Non seguite il mio esempio”. Ma io non sono più. Non ho più voce con cui parlare, non riesco a farmi capire nel vostro mondo fatto di corpi, di lingue, di dita. Non c’è nessuno che mi ascolta dall’altra parte del fiume, e se qualcuno dovesse raccogliere il mio bisbiglio, lo confonderà con le ebrezze che soffiano tra i giunchi secchi, con il volo dei pipistrelli al crepuscolo, con un brutto sogno."
Da dove è tratto il brano del monologo? Non è stato indicato in trasmissione, né indicato dalle testate giornalistiche, ma a noi ricorda molto l’incipit di un romanzo celebre di Margaret Atwood, intitolato appunto Il canto di Penelope, edito in Italia da Ponte alle grazie.
Il canto di Penelope di Margaret Atwood
Questo l’incipit del romanzo dell’autrice canadese, nella traduzione di Margherita Crepax nell’edizione 2018 di Ponte alle Grazie:
Ora che sono morta so tutto. Avrei voluto che fosse così, ma come molti dei miei desideri neanche questo si è avverato. Conosco solo alcuni eventi che prima ignoravo, entrati nella tradizione, ma forse infondati. Inutile dire che è un prezzo molto alto per soddisfare una curiosità.
Da quando sono morta – da quando ho raggiunto questa condizione di senzaossa, senzalabbra, senzapetto –ho imparato cose che avrei preferito non sapere, come succede se si origlia dietro le finestre o si aprono le lettere degli altri. Credete che vi piacerebbe leggere nelle menti? Ripensateci.
Quaggiù tutti arrivano con un otre, simile a quello che racchiudeva i venti, ma ciascuno di questi otri è pieno di parole pronunciate, udite, e che altri hanno detto su di noi. Ci sono otri piccoli e otri grandi; il mio ha una dimensione media, anche se molte delle parole che contiene riguardano il mio insigne marito. Mi ha raggirata, sostiene qualcuno. Era la sua specialità, il raggiro. E trovava sempre una via di fuga, un’altra delle sue peculiarità: fuggiva.
Riusciva facile credergli. Molti, nel tempo, hanno ritenuto autentica la sua versione degli avvenimenti, si trattasse di uccisioni, di splendide seduttrici, di mostri con un occhio solo. Anch’io gli credevo, ogni tanto. Sapevo che era scaltro e bugiardo, ma non pensavo che avrebbe usato la sua astuzia e sperimentato le sue bugie anche con me. Non gli ero stata fedele? Non avevo aspettato, e aspettato, e aspettato, vincendo la tentazione – quasi un impulso – a comportarmi in altro modo? E che cosa ho raccolto, una volta che si è affermata la versione ufficiale? Sono diventata una leggenda edificante. Un bastone con cui picchiare altre donne. Non avrebbero potuto essere assennate, oneste, pazienti com’ero stata io? Questa era la linea seguita dagli aedi, dai cantastorie. «Non seguite il mio esempio» voglio gridarvi nelle orecchie – sì, nelle vostre orecchie! Ma quando cerco di gridare, la mia voce è quella di un gufo.
Io, certo, riconoscevo gli indizi della sua scaltrezza, della sua malizia, e – come dire? – della sua assenza di scrupoli, ma cercavo di non dar loro peso. Tenevo la bocca chiusa, o, se l’aprivo, era per tessere le sue lodi. Non lo contraddicevo, non gli rivolgevo domande che potessero infastidirlo, non approfondivo le discussioni. A quel tempo credevo nelle soluzioni felici, che si ottengono tenendo chiuse le porte e andando a dormire se soffia la tempesta.
Ma quando gli avvenimenti principali si conclusero e tutto diventò meno simile a una leggenda, mi accorsi che erano in molti a ridere alle mie spalle – a sbeffeggiarmi, a inventare storielle sul mio conto, pulite ma anche sporche; mi avevano trasformata in una storia da raccontare, anche se non del genere che mi piace ascoltare su di me. Che cosa può fare una donna quando una chiacchiera indecente viaggia attraverso il mondo? Se si difende sembra colpevole. Così, ho aspettato ancora un po’.
Se vi piace la figura di Penelope, vi consigliamo di recuperare questo libro bellissimo.
Le sette fatiche di Ercole nella canzone di Achille Lauro
Oltre a Penelope, nella canzone di Lauro si fa riferimento anche a un altro incredibile personaggio della mitologia: l’eroe e semidio Ercole, corrispettivo romano del greco Eracle. Nella canzone si parla di sette fatiche (forse per intenderne una parte? Forse semplicemente per motivi di metrica?), perché le fatiche ricordate in mitologia sono in realtà 12. Per espiare dopo l’uccisione di moglie e figli a causa di un attacco di follia causato dalla dea Era, Ercole si mise al servizio del re di Tirinto e Micene, Euristeo, che gli ordinò appunto le 12 fatiche, 12 imprese impossibili a chiunque, ma possibili con la forza posseduta da Ercole.
La nemesi nella canzone di Achille Lauro
Nel testo troviamo anche la parola nemesi, legata anch’essa in qualche modo alla mitologia: Nemesi era infatti una divinità nei poemi omerici, sebbene la parola venga oggi usata come personificazione della giustizia distributiva.
E voi come avete interpretato la performance di Lauro, Marrone e Guerritore? Vi aspettiamo nei commenti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Penelope: riferimenti letterari nella canzone di Achille Lauro e nel monologo di Monica Guerritore
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