Perda il migliore
- Autore: Franco Rossi
- Genere: Sport
- Categoria: Saggistica
Ci vuole un certo gusto per il paradosso nel rappresentare, in Italia, sulla copertina di un libro che racconta la storia dei mondiali di calcio non Pablito Rossi o Giuseppe Meazza, simboli di una vittoria, ma Franco Baresi, piegato in due dalla fatica e dalla delusione dopo la sconfitta in finale col Brasile, nel 1994, ai rigori.
Ma Franco Rossi, allievo di Gianni Brera, fa soprattutto del paradosso la sua cifra stilistica e rincara la dose con la scelta del titolo: Perda il migliore. Edito nel 1998, alla vigilia dei mondiali di Francia, il testo di Rossi si pone come provocatorio obiettivo di dimostrare che molto raramente, ai mondiali, la squadra migliore ha davvero vinto il titolo.
Capita un paio di volte al Brasile, nel 1958 e nel 1970, all’Italia del 1982, all’Argentina trascinata nel 1986 al successo dal Pibe de Oro Maradona. Ma per il resto, per le altre edizioni, non è la squadra che ha espresso la miglior qualità di gioco a vincere, ma la più cinica, quando non la più fortunata.
Emblematico il caso dei mondiali del 1954, in cui l’Ungheria di Puskas e Koscis, ancora leggenda nella memoria degli appassionati, soccombe incredibilmente in finale a una Germania poco più che discreta, anche se molto robusta.
Rossi decide di dedicare, per ogni mondiale, una sezione, potremmo dire un articolo, al racconto di ciò che è avvenuto. Una cronaca non solo calcistica, ma di respiro più ampio, inquadrando i mutamenti di contesto storico e sociale che accompagnano la cavalcata che porta dalla prima vittoria dell’Uruguay nel 1930 a quella del Brasile nel 1994.
Il vero e proprio cuore del romanzo però viene dopo. Per ogni mondiale, l’autore dedica un passaggio alla squadra migliore, anche se perdente. E ci regala un ritratto del protagonista di quei mondiali, con scelte molto originali e partecipate.
Così, per l’incredibile vittoria dell’Uruguay nel 1950 sul Brasile dei fenomeni, che avrebbe potuto accontentarsi di un pareggio e perde, vittima di un contropiede, lo sguardo e la penna di Rossi non indugiano a tratteggiare l’eleganza di uno Schiaffino o di un Ghiggia, goleador dell’Uruguay.
L’anima di quella squadra è il capitano Obdulio Varela, oscuro e tignoso centrocampista centrale, che trascina i suoi verso una vittoria che non spetterebbe loro, ma che si vanno a prendere, con la forza della volontà e della determinazione.
E in questo modo, riguardando la storia dei mondiali e forse non soltanto, con gli occhi di uno straordinario giornalista e appassionato, ci rendiamo conto che, a volte, l’espressione “perda il migliore” può essere due volte ingannevole.
La prima perché, di tanto in tanto, la squadra più bella non è, in un senso più ampio, anche quella migliore, quella che davvero vale la pena di ricordare. La seconda, tornando all’immagine di copertina, perché tutti coloro che vi hanno assistito ancora ricordano, con partecipazione, le lacrime di Franco Baresi e quelle di Roberto Baggio, dopo i maledetti rigori di Pasadena e questa non può davvero, tutto sommato, essere definita una sconfitta.
Perda il migliore. Il paradosso di 15 mondiali di calcio
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