Possiedo la mia anima
- Autore: Nadia Fusini
- Casa editrice: Mondadori
Il segreto di Virginia Woolf
Esiste una costellazione che l’Eterno Femminino ha fatto sua.
- C’è Jane (Austen), che con magnifica grazia scrive tra una tazza di tè e l’altra.
- C’è Emily (Dickinson), che ascolta la voce minuscola delle api e dei panni stesi.
- C’è Simone (Weil), che affronta la fabbrica e i totalitarismi con l’energia della vergine rossa.
- Ed ecco Gertrude (Stein), il genio sorridente che sradica la prosa e intanto si fa ritrarre da Picasso.
- Infine appare lei, Virginia.
L’incontro con Virginia è per ogni donna un insight. Non vorrei scomodare la Gestalt, ma non esiste termine più azzeccato. Perché Virginia è una rivelazione, un’intuizione profonda che viene a galla e si svela. Che cambia la disposizione delle carte, la traiettoria dello sguardo. Virginia è quasi la quintessenza della costellazione di scrittrici cui abbiamo accennato e non assimilabile a nessuna, tutte forse le riflette, per trasfigurarsi nell’oltre. Virginia (ha senso aggiungere Woolf? conoscete un’altra Virginia che si possa confondere con lei? del resto preferirei sempre designarla con il suo cognome di nascita, Stephen) non può essere pacificamente definita. E’ genio, scrittrice, fool, apripista, outsider, disadattata, saggista di classe, filosofa umile, femminista determinata, conferenziera abile, libera pensatrice. Non è uomo e donna neppure, né androgino, mai. Sceglie di non schierarsi, di non avere bandiere non per opportunismo o comodità, ma perché nessuna bandiera è capace di sventolare con l’energia vitale e dinamica del suo pensiero, che costantemente si mette in discussione, dubita, si riavvolge e si disfa, eterno Uroboro che partorisce se stesso in sempre nuove, illuminanti metamorfosi.
Era pazza Virginia? Forse, ma in un mondo perduto dietro follie incongrue ben peggiori delle sue, come la guerra, la misoginia, il pregiudizio, lei cullava una pazzia catartica e nobile - come il mal bianco dei poeti, dei veggenti, votati allo spossessamento di sé e alla creazione - una pazzia che alimentava la sua arte, concedendole, paradosso sublime, la lucidità severa, implacabile, con cui interpretare e cantare la vita.
Non scrive Virginia, canta. Leggete “Le onde” e lo sentirete. La sua scrittura urgente, necessaria, a tratti crudele nel non soddisfarla mai, nel lacerarla continuamente, asseconda le architetture segrete e liquide della musica, che come acqua appunto è capace di fluire, e rigenerare. Virginia scrive per cicatrizzare le sue antiche, immedicate ferite, e attraverso le sue, potere della letteratura, medichiamo le nostre. Anche quando la sentiamo snob, antipatica, un po’ piccina, e quindi più umana, come in alcune pagine dei suoi meravigliosi diari, è sempre però ostinatamente sincera davanti alle proprie debolezze, persino se la sincerità le costa, e ha bisogno magari di anni per affiorare.
Affascinante ma difficilissimo dunque accostarsi a lei, raccontarne la vita. Un film come “Le ore”, tratto dal romanzo omonimo, ne afferrava uno spicchio, essenziale, ma limitato. In “Possiedo la mia anima” una studiosa di valore, che è al tempo stesso scrittrice di rara sensibilità e talento, ne ripercorre la vita intera, e ogni capitolo è una scoperta, ogni inserto rivolto al Lettore un’immersione più profonda nei meandri di una biografia ardua che si fa sfida. Non solo perché chiamata a confrontarsi fatalmente con quelle di pregio che già esistono, ma perché ridurre alla misura della narrazione colei che demolì ogni narrazione tradizionale rifondandola dall’interno, seguirla attraverso le sue opere dalla genesi in genere tormentata e inclemente, attraverso i suoi epistolari intensi, come quello splendido intrecciato con l’amata Vita, attraverso la sua psicosi altalenante e ambivalente, costringe a confrontarsi con diffrazioni e simboli e vuoti e visioni che si accavallano frenetiche, tra presenze ingombranti e assenze esiziali.
Nadia Fusini non ha scritto una biografia: ha intessuto un canto, con una prosa fluente e poetica, precisa e densa che restituisce la voce a Virginia.
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Anch’io l’ho letto: lode, lode, lode alla Fusini!