Hannah e le altre
- Autore: Nadia Fusini
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2013
In “Hannah e le altre”, Nadia Fusini sorprende il lettore con una amabile narrazione conversativa per condurlo alla ricerca di un fil rouge nelle storie personali, umane e letterarie di tre grandi donne del Novecento.
L’autrice, saggista, traduttrice, scrittrice, anglista di fama internazionale, è la più rinomata studiosa italiana di Virginia Woolf e di William Shakespeare, già docente di Critica e Filologia Shakespeariana alla Sapienza di Roma, è attualmente professore ordinario alla Scuola Normale di Pisa.
Nadia Fusini, in questo piacevole ed interessante saggio, studia, rilegge, annota, scava, seziona e riporta alla luce le letture che uniscono le tre letterate, gli amici comuni, gli incontri, finanche le strade delle città dove hanno abitato. “Tre donne intorno al cor mi sono venute” e sono Simone Weil, Rachel Bespaloff e Hannah Arendt, ebree, filosofe e prima ancora lettrici e scrittrici. Grandi donne che Nadia Fusini rivisita per puro caso dopo la lettura di una pagina del diario di Virginia Woolf, datata 20 aprile 1935, quando il mondo era sull’orlo della guerra.
Virginia Woolf si domandava quale fosse in quei giorni terribili l’angolo della donna. Dopo “Una stanza tutta per sé” rivendicava nei suoi scritti un angolo, ossia il punto di vista di chi come lei si sentiva diversa, una outsider. Un angolo dal quale vedere ciò che gli uomini, nella violenza della guerra, non sapevano cogliere perché erano sia soggetti che oggetti. Nadia Fusini quindi immagina, corre con la mente, scorre le parole e intravede le figure di tre donne che con forza avevano testimoniato il loro pensiero, mentre nella tragedia che si compiva intorno erano tutti sordi e ciechi.
“Le tre donne che convoco in questo libro a testimoniare il pensiero femminile, vedono la complicità tra il fantasma della forza e l’attitudine alla sottomissione, il nodo che aggioga vittima e carnefice nella medesima anestesia del corpo e della mente”.
Un libro come un romanzo, un racconto che ha inizio dalla lettura emozionante e passionale dell’“Iliade” di Omero per Simone e Rachel, letto poco prima del loro esilio, alla visione di un nuovo mondo con “Il castello” di Kafka per Hannah. Dal dramma delle leggi razziali al profondo e complesso rapporto con le loro madri, dalle coincidenze e corrispondenze nelle loro vite alle riflessioni che hanno segnato le loro esistenze, parallelamente a quelle di Virginia Woolf, Irene Némirovsky (che rifiuterà di fuggire all’estero e morirà ad Auschwitz) e di Emily Dickinson. Simone Weil affascinava per la sua non beltà: viso piccolo, occhi neri, bocca carnosa. L’intensità e la purezza del suo sguardo contemplativo poteva essere associato a quello di un santo. Amava indossare giacche di taglio maschile, gonne larghe e mantella. Scelse la povertà e la solitudine. Rifiutava i privilegi della sua classe e abbracciò il sacrificio: non mangiò quando in Francia scarseggiava il cibo, pativa il freddo, andò a combattere in Spagna una guerra che non le apparteneva e voleva essere nera quando abitò ad Harlem. Rachel era tanto bella quanto fragile, da tutti chiamata la straniera, per i suoi continui spostamenti. Il nomadismo fu una costante nella sua vita. Amava leggere libri di filosofia, divorarli, e descriverà questa sua passione come quella per un alimento necessario. La sua solitudine in giro per il mondo, lontana dalla sua amata Parigi, le sarà fatale. Mary Mc Carthy la incontrerà a New York e la descriverà come una donna dallo sguardo profondo, carico di malinconia. La visione tragica per Rachel è “un’operazione di denudamento”; la tragedia è la forma più esigente che l’uomo abbia mai inventato. Hannah era vitale, affascinante, riservata, con i tratti nobili del volto e lo sguardo intenso che imbarazzava, capelli corti alla moda e grandi sigari tra le mani. Il suo arrivo a New York nel 1941 fu per la scrittrice Mc Carthy (“Il romanzo e le idee”), la testimonianza di un sapere profondo e antico, della cultura europea. Hannah Arendt rifiutò sempre il termine refugee con il quale si accoglieva chi scappava dall’Europa. Lei era stata spogliata di tutto ma non espulsa; per sua volontà era andata via scegliendo l’esilio, perché voleva vivere. La sua era resistenza.
Tutte e tre, scrive Nadia Fusini, hanno illuminato con il loro sguardo le tenebre del loro secolo, donne diverse ma simili per le quali il pensiero è l’unico strumento di emancipazione. Si sfioreranno e non si incontreranno se non nei loro scritti, nelle loro letture. Hannah, ad esempio, descriverà i campi di sterminio, le macchine impiegate nell’uccisione di migliaia di esseri viventi e sembrerà leggere pagine dai contenuti che Simone aveva intuito. Rachel, nel chiuso della sua casa tra le mansioni domestiche condividerà le letture di Kierkegaard, Kafka, Brecht che Hannah Arendt, invece, discuterà in pubblico declamandole ad alta voce. Un libro sulle idee, pieno di fascino.
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