Il saggio Pro o contro la bomba atomica risale alle dibattute conferenze che Elsa Morante tenne tra Torino, Milano e Roma nel 1965.
In particolare quella torinese, al Teatro Carignano, fu una “conferenza severa, arruffata, arrabbiata sulla vita e il destino dello scrittore in tempi atomici” in cui Morante prese posizione con veemenza usando toni appassionati e radicali.
Da quelle sue considerazioni nacque in seguito il saggio Pro e contro la bomba atomica che sarebbe stato edito postumo da Adelphi nel 1987 con una prefazione a cura di Cesare Garboli.
Oggi, che proprio come negli anni Sessanta, viviamo sotto l’incombente minaccia atomica le parole di Elsa Morante appaiono di stretta attualità e dischiudono un chiaro orizzonte di pensiero. La scrittrice, che già nutriva in seno la coscienza angosciante della “Storia” che avrebbe presto generato l’omonimo libro-capolavoro (1972), riflette sull’arma di distruzione di massa considerando lucidamente il pericolo che essa rappresenta.
Ben presto, però, il discorso di Morante sulla bomba atomica si trasforma in una profonda riflessione sull’arte. Lei infatti attribuiva agli scrittori e ai poeti un ruolo cruciale per la salvezza dell’umanità, poiché sosteneva che lo scrittore fosse “un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura”.
Negli scrittori - si badi bene, non gli “scriventi” - e nei poeti Elsa intuiva una funzione persino superiore a quella affidata agli scienziati, perché a loro spettava uno specifico potere sulla coscienza delle masse ed erano loro i “numi tutelari” dell’arte. Morante nutriva una fede smisurata nell’arte, la concepiva come l’unica arma capace di opporsi al potere annichilente della distruzione, come lei stessa afferma:
L’arte è il contrario della disintegrazione.
Metaforicamente dunque Elsa opponeva all’intangibile irrealtà della distruzione, alle tenebre dell’apocalisse, la forza creativa e generatrice dell’arte che è la sola capace di restituire “coscienza umana alla realtà”. Ne risulta quindi un profondo atteggiamento di responsabilità per la vita cui Morante invita tutti, nessuno escluso, ad aderire: e non forse questo, a ben vedere, il contenuto chiave di tutti gli scritti morantiani?
Scopriamo il parere di Elsa Morante sulla bomba atomica, cosa disse in proposito l’autrice del capolavoro La Storia e come motivò la sua opinione.
Pro o contro la bomba atomica: il saggio di Elsa Morante
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Morante inaugura il suo saggio-discorso con un tono sferzante, volutamente polemico, che sembra quasi intimidire i suoi interlocutori invitandoli così all’ascolto:
Ho sentito dire che qualcuno, al sapere in anticipo l’argomento da me scelto, ha mostrato una certa perplessità: come se, da parte mia, questa fosse una scelta, diciamo, curiosa. Invece, a me sembra evidente che nessun argomento, oggi, interessa, come questo, da vicino, ogni scrittore.
Morante invita il proprio pubblico, dapprima reticente come una classe di studenti indisciplinati e bizzosi, all’attenzione. Le sue parole oggi attraversano il tempo e la loro eco ci giunge violenta come il fragore di un tuono. Nel principio del suo discorso la scrittrice accusa i contemporanei di essere passivi e quasi apatici dinnanzi al problema, di pronunciare la parola “atomica” per abitudine, quasi con ironia trasformandola in una barzelletta. Lei richiama tutti all’ordine con un’osservazione perentoria:
Allora non c’è dubbio che il fatto più importante che oggi accade, e che nessuno può ignorare, è questo: noi, abitanti delle nazioni civili nel secolo Ventesimo, viviamo nell’era atomica.
I verbi di questa sua sentenza spudorata debbono ancora essere declinati al presente: “viviamo nell’era atomica.” Morante quindi riflette sulla società contemporanea, invincibilmente sedotta dalla scienza e dal progresso, di cui la bomba di fatto rappresenta “il fiore”.
La nostra bomba è il fiore, ossia l’espressione naturale della nostra società contemporanea, così come i dialoghi di Platone lo sono della città greca.
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Ragionando filosoficamente sul filo di questo pensiero Elsa giunge a una conclusione graffiante, sinistra, ma di certo intuitiva dal punto di vista psicologico: si direbbe che l’umanità contemporanea provi l’occulta tentazione di “disgregarsi”. Adattando la sua riflessione alla nostra società, del XX secolo, che ormai è sempre più astratta, soggiogata dalle nuove tecnologie in cui persino le vite diventano immateriali, relegate a una socialità basata su circuiti fittizi o ristretta alle piazze virtuali dei social network, non è forse vero? Non è, in fondo, questa l’aspirazione cui paradossalmente tende l’umanità giunta ormai al vertice della propria evoluzione: essere altro da sé stessa, giungere a una sorta di sublimazione?
Morante riflette sulle pulsioni di vita e di morte che ci abitano internamente, eros e thanatos, e infine prefigura l’apocalisse come unica soluzione possibile: la stessa, del resto, teorizzata dalla maggior parte delle religioni. Tutti gli scritti sacri prefigurano un giudizio finale, una possibile estinzione totale, o comunque uno stato di annullamento inteso come “unica beatitudine possibile”, prospettiva da cui l’essere umano è invincibilmente attratto.
Ben presto Morante arriva al nocciolo del suo discorso che non è un’invettiva “contro la bomba”, ma una riflessione sul concetto di disintegrazione. Alla forza distruttiva della bomba la scrittrice oppone la potenza creatrice dell’arte e quindi si vanta, con una consapevolezza tenace, di appartenere alla categoria degli “scrittori”. Fa una netta distinzione tra scrittori e scriventi, rivendicando la categoria dei primi come degli unici che davvero si occupino della realtà.
Gli scrittori, ribadisce Elsa Morante, sono gli unici che possono impedire la disintegrazione della coscienza umana. Nella confusione frammentaria, sempre più alienata del presente, Elsa sostiene che spetti a scrittori, poeti, artisti restituire la l’integrità del reale attraverso quell’integrità “unica e segreta” di tutte le cose, che è rappresentata sommamente dall’arte.
Nella conclusione Morante ricorda le parole di Umberto Saba: il quale affermava che in ogni poesia c’è sempre un bambino che adesso convive con l’adulto, e si meraviglia di quello che succede all’adulto. Una prefigurazione de Il mondo salvato dai ragazzini? Elsa avrebbe pubblicato quella raccolta tre anni dopo questo discorso, nel 1968, e uno dei suoi primi recensori, un certo Pier Paolo Pasolini, lo avrebbe definito con somma intuizione un “libro politico”. In queste parole morantiane possiamo cogliere la prima genesi della figura del “pazzariello” che sarà uno dei protagonisti de Il mondo salvato dai ragazzini: lo scrittore non è poi molto dissimile da un ragazzino impegnato in un combattimento corpo a corpo con il drago. Viene rivendicata la facoltà “umanistica” degli scrittori, dei poeti, che debbono essere rivoluzionari e schierarsi sempre dalla parte degli ultimi, dei cosiddetti “dominati”.
Tirando le somme del suo discorso Elsa Moranteriprende dunque le parole di Saba e ribadisce che ciò che resta da fare ai poeti sarà la poesia onesta. In essa possiamo intravedere il riflesso del valore puro e supremo dell’arte.
La risposta è semplice: scriverà, onestamente, “resta da fare la poesia onesta”. Però, basterebbe dire la poesia; perché, se è poesia, non può essere che onesta.
Pro o contro la bomba atomica: il pensiero di Elsa Morante
In definitiva possiamo leggere il saggio Pro o contro la bomba atomica di Elsa Morante come un richiamo netto al senso di responsabilità individuale.
La scrittrice pronuncia spesso una parola che riecheggia in continuazione come un ritornello: “coscienza”. Si appella quindi alla coscienza umana, del singolo, dell’individuo, ciò che per lei è la vera “centrale atomica”.
Mentre proprio qui forse è la vera “centrale atomica”: nella coscienza di ciascuno.
E qual è dunque l’arma più potente che abbiamo per combattere la bomba atomica? Morante qui stupisce con il discorso meno metaforico di tutti: dopo aver chiamato in causa l’arte e il potere della poesia, ecco che invoca il fatto più oggettivo, concreto, affidabile: la Realtà.
Contro la bomba atomica, non c’è che la realtà. E la realtà non ha bisogno di prefabbricarsi un linguaggio: parla da sola.
L’arte, che è la spinta più inoppugnabile e potente contro la minaccia della disintegrazione, trova il proprio necessario nutrimento nella realtà. In questa prospettiva tutto appare collegato: Morante non sta parlando di una presunta sublimazione dell’arte, ma di tutto il contrario, di una scrittura oggettiva che si adegua al proprio tempo e all’immaginazione del proprio tempo. Lei crede in una scrittura che fotografa il Reale per trasformarlo in materia di riflessione, in una favola con una morale da intuire e, quindi, in narrazione.
Presagendo la domanda che seguirà a questa inattesa conclusione, Elsa anticipa il proprio pubblico con un’ironia sferzante, quasi tirannica, come il tono di rimprovero minaccioso di una maestra che coglie il proprio discepolo in fallo durante l’interrogazione:
E che è la realtà? Non ci mancava altro! Se uno mi fa questa domanda, è chiaro che non è mio lettore.
Ed è vero, nei suoi libri c’è tutto: l’anticipazione e persino la continuazione di questo discorso Pro o contro la bomba atomica, che oggi riscopriamo con stupore, elogiandone la natura profetica.
Sembra ora di sentire l’eco della sua risata. Elsa che si fa beffe dei suoi attenti lettori, dei suoi stuoli di critici e persino dei contemporanei che a proposito della “minaccia atomica” articolano ancora - oggi come ieri - frasi vuote, pronunciano invettive stentoree o ripropongono vecchie barzellette. Lei invece sembra dire: “avevo già capito tutto prima di voi, era già tutto scritto”.
Elsa Morante ci aveva indicato la strada attraverso La Storia, un libro che a ben vedere ci offriva la chiave di lettura più attendibile e lungimirante del nostro tempo - e di tutti i tempi a venire.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Pro o contro la bomba atomica: il parere di Elsa Morante
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