Qualcosa di scritto
- Autore: Emanuele Trevi
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2012
Emanuele Trevi ha lavorato, da giovane, al Fondo Pasolini di Roma che ha sede nei pressi di Castel Sant’Angelo, in un “tetro e massiccio palazzo d’angolo di Piazza Cavour”. In quelle stanze regnava incontrastata la vestale delle memorie pasoliniane, colei che se ne era dichiarata erede, la vulcanica e ingovernabile Laura Betti, i cui insulti, sfuriate, grida, oltraggi venivano diretti a tutti i collaboratori che presto desistevano. Trevi rimase più di tutti sotto l’incalzare dei colpi della “Pazza”, così veniva unanimemente definita l’attrice bolognese, malgrado l’epiteto di “zoccoletta” con cui veniva regolarmente apostrofato. L’amore idolatrico per Pier Paolo Pasolini, per i suoi scritti, i suoi pensieri, la sua eredità spirituale, le sue lettere, le amicizie, i detrattori esigeva che tutto dovesse passare al vaglio critico e violento della Betti mentre il giovane Trevi, incaricato di selezionare materiale che sarebbe confluito in un saggio sullo scrittore, veniva continuamente aggredito e demotivato:
“Tu non esisti, zoccoletta, e come potresti? Non sei mai nata!!! Sei troppo FASULLA. E che vorresti scrivere? Cosa ne sai di quello che vuoi scrivere?”
Dunque nel Fondo Pasolini si studiano le carte dello scrittore, si classificano gli articoli che lo riguardano, ma soprattutto ci si sottopone alla quotidiana tortura del rapporto impossibile con la Pazza; tuttavia paradossalmente Trevi ammette che da lei impara, impara molto, su Pasolini ma non solo. In realtà il testo di Emanuele Trevi con ritmo talvolta lento e riflessivo, altre volte incalzante e ricco di spunti autobiografici, attraversa il romanzo/saggio postumo di Pasolini, Petrolio, e cerca di raccontarne la ricchezza sommersa, l’estrema originalità di visione del mondo, gli aspetti più profondi e complessi del rapporto che l’autore visse sulla sua pelle tra le due contrapposte identità sessuali: uomo/donna e poi di nuovo uomo. E’ questa metamorfosi misteriosa alla base dell’invenzione pasoliniana, il tema del doppio: due Carlo sono protagonisti di Petrolio, due uomini che in quartieri periferici e degradati della capitale, quartieri popolari a Sud di Roma, tra Casilina e Tuscolana, vivono esperienze sessuali estreme, intese come rito di iniziazione, come estrema visione:
“Ed è proprio per questo motivo che l’iniziato può dire di sé che è nato una seconda volta, perché in effetti è un mondo nuovo, incomparabilmente più bello di quello in cui era vissuto, quello che adesso ha raggiunto per non tornare più indietro.”
Nell’analisi di Petrolio, un libro interamente basato sull’idea di duplicità, Trevi ci consegna un’immagine inedita di Pier Paolo Pasolini, quella di un uomo affacciato sull’abisso del mistero che proviene direttamente da un antico culto della Grecia classica, i Misteri Eleusini, che si celebravano alle porte di Atene e ai quali solo pochi scelti iniziati potevano essere ammessi. In quell’abisso, in quell’inferno antropologico che affonda nel mito di un’umanità ai primordi, Pasolini riconosce i tratti della contemporaneità e la sua forza di persuasione attraverso la scrittura si fa più alta ed efficace...
Scorrono di fronte agli occhi di Carlo i vari aspetti della ‘bruttezza’ e della ‘ripugnanza’ di questa nuova umanità - così come appaiono nei corpi, o nel modo di vestirsi , nelle nevrosi, nel perbenismo e nel sentimento della ‘dignità’, nella vigliaccheria, nella finta tolleranza, nell’imitazione del tenore di vita borghese, e in tute le altre ripugnanti variabili dell’universale conformismo”.
Pubblicato da Ponte alle Grazie nel 2012 e candidato al Premio Strega, Qualcosa di scritto è un libro ricco e complesso, a volte quasi fin troppo vasto perché un lettore normale riesca a seguirne tutte le tortuose argomentazioni, le colte implicazioni letterarie che nascono da una conoscenza approfondita che l’autore ha maturato dell’opera pasoliniana e dell’esperienza diretta con cui si è confrontato: ne sono prova le illustrazioni che compaiono nelle pagine finali del volume, quando Trevi ci mostra i documenti del suo itinerario spirituale e fisico alla ricerca di prove concrete delle sue affermazioni.
Pausania, Alcibiade, Plutarco, Aristotele, Licurgo, Eschilo, Demetra a Persefone, Zeus, personaggi del mito classico e della filosofia greca ritornano in un affresco intelligente con cui Trevi mescola passato e presente, cultura e spiritualità, ragione e visione... che “attraversa l’anima come un lampo”...
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Bellissima ed estremamente evocativa la foto riprodotta in copertina: è una fotografia di Elisabetta Catalano del 1969 e ritrae la Betti, ancora magra e bella (prima di diventare bulimica e paranoica) insieme a Pier Paolo, braccia piegate e una mano appoggiata al volto pensieroso, gli occhi vigili e intensi, lo sguardo penetrante. La coppia, che sarà la protagonista del libro di Trevi, è qui ritratta in un momento magico, che durerà un tempo troppo breve: cinque anni dopo Pasolini viene assassinato, e Laura, ‘vedova’ inconsolabile, perennemente gelosa, trascinerà la fine della sua carriera di attrice nel tentativo di far rivivere attraverso le poesie la voce di Pier Paolo, a cui lei stessa presta la voce, in quelle stanze gelide del Fondo, a dimostrare che il grande scrittore e regista, saggista e poeta, romanziere e intellettuale scomodo “non somiglia a nessun altro”.
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Pier Paolo Pasolini ha cominciato a morire “prima”. Prima del 2 novembre del novecentosettantacinque, prima della macelleria organizzata in suo “onore” all’Idroscalo di Ostia. Pier Paolo Pasolini ha cominciato a morire, probabilmente, quando la sua sessualità ha smesso di essere giocosa, ammantandosi di connotati lugubri, funerei, quasi degradati. Prova ne siano “Le 120 giornate di Salò” e l’incompiuto “Petrolio”: racchiudono in loro gli indizi del cambiamento erotico-ontologico del poeta; i prodromi di quel processo di mutazione-iniziazione-morte, anticipatore, in traslato, della sua fine annunciata.
Questa è la tesi che Emanuele Trevi suggerisce in “Qualcosa di scritto” (Ponte alle grazie, 2012; finalista al Premio Strega): un saggio anomalo, consapevolmente borderline (un po’ racconto autobiografico, un po’ anamnesi dello specifico pasoliniano), che (ri)torna, spesso, prorprio sul concetto esteso di “iniziazione”. L’incontro di Trevi con “la Pazza”, (Laura Betti, Sacerdotessa Unica del Fondo Pasolini), l’accettazione iniziatica dei suoi soprusi, procedono dunque in parallelo alle trasformazioni fisico/sessuali, dei due protagonisti di “Petrolio” (estrinsecazioni di un io duale). Occorre ribadirlo: “Qualcosa di scritto" si spende in maniera trasversale; poco più di duecento pagine (alquanto fitte) all’insegna della commistione fra piani dialettici - vita, morte, artificio, passione, letteratura, erudizione, umanità -, sfondo e corollario al contempo alle biografie degli attori assoluti di questa storia di storie: il fantasma di Pasolini (figura assente/presente, in virtù del suo essere, di fatto, continuamente evocato e ancora reso necessario), e la "folle" Laura Betti - l’amica per antonomasia dello scrittore-poeta -, personalità ininquadrabile e dirompente, che segna alcune delle pagine più felici di "Qualcosa di scritto". Trevi maneggia la (non facile) materia da narratore rodato, aggiungendo alla fluviale bibliografia pasoliniana, forse il contributo più lungimirante, meno ingessato, originale e poetico.