Qualcuno
- Autore: Alice McDermott
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2016
“Qualcuno” (Einaudi Stile Libero, 2016, titolo originale Someone, traduzione di Monica Pareschi) è il romanzo più recente di Alice McDermott, nata a New York, vive con la famiglia a Washington, considerata una delle scrittrici americane più importanti, finalista del Premio Pulitzer 2007 con “Dopo tutto questo”.
New York, quartiere di Brooklyn. Anni Trenta del XX Secolo. La sera cominciava a scendere in quella fine di un giorno d’inizio primavera. Seduta sui gradini di pietra, la piccola Marie spiava l’arrivo di suo padre, che non era ancora emerso dalla metropolitana. Sbucando dall’angolo in lontananza, i vicini, uomini e donne, quelli che lavoravano, stavano tornando a casa. Marie a sette anni, era una bambina “timida e buffa a vedersi”, con una faccia tonda e piatta e due fessure nere al posto degli occhi, occhiali spessi, la frangetta nera, una bocca diritta e seria:
“Una bambina dei cartoni animati. In simbiosi totale con mio padre, a quei tempi”.
In fondo alla strada, come sempre a quell’ora, i ragazzi stavano giocando a baseball. Alcuni erano amici di Gabe, il fratello di Marie, anche se lui, studente modello, se ne stava chiuso in casa sui libri. Nella luce sfumata della sera, il gradino sotto le cosce di Marie, “tiepido come fiato quando mi ci ero seduta”, emanava ora un lieve freddo, ma la bambina non si muoveva, unica spettatrice della scena esterna, adesso che quasi tutti gli abitanti del quartiere si erano ritirati nelle proprie abitazioni per cenare. Marie aspettava di avvistare il padre che sbucava dalla metropolitana con cappotto e cappello. “Tra tutti quei fantasmi, il più amato”. Finalmente eccolo comparire sull’angolo della via. L’uomo si fermò a prendere l’edizione serale del quotidiano. Soprabito e cappello indicavano che non era un operaio ma un impiegato. Quando Marie lo vide, sollevò la testa dalle ginocchia mettendo una mano sulla ringhiera per prepararsi ad abbracciare quell’omino smilzo con un lungo soprabito che aveva un passo svelto, brioso. La bambina attese che il padre arrivasse a metà strada, per poi buttarsi giù oltre il marciapiede, per farsi acchiappare al volo, un rito sacro per entrambi.
“Mio padre sapeva sempre di giornale fresco e sigarette, e di alcol, tutto quel che rimaneva del profumo svanito di acqua di colonia”.
Padre e figlia salirono insieme i gradini ed entrarono nell’atrio odoroso di cipolla delle cene pronte e dell’aroma di legno vecchio delle case di arenaria, salendo su per le scale anguste che portavano al loro appartamento, dove la madre di Marie era in cucina e il fratello al tavolo della sala da pranzo con i suoi libri. L’appartamento era lungo e stretto, con finestre sulla strada e sul retro. Il retro prendeva luce la mattina, il davanti aveva la luce arancione delle ore lente del pomeriggio e della sera. Anche a tarda primavera e nella frescura dell’ora, era una luce polverosa, cittadina che si divertiva a cadere sui sedili laccati delle finestre e sulle rose rosa del tappeto. Una luce che stampava lunghe sbarre rettangolari sull’intonaco delle pareti, che filtrava dalla porta della camera, attraversava il soggiorno, si arrampicava su per le gambe solide delle sedie della sala da pranzo, e in quel momento si stendeva sul tavolo, dove la tovaglia era stata ripiegata con cura per tutta la lunghezza per permettere a Gabe di appoggiare il tampone di carta assorbente e i libri sul legno liscio.
“Fu la prima luce che conobbero i miei poveri occhi”.
Attraverso una serie di flashback perfettamente incastrati tra loro come componenti di un mosaico, Alice McDermott nel libro dedicato “A David”, ricostruisce la vita della protagonista proveniente da una famiglia cattolica irlandese. Un’esistenza ordinaria, banale, modesta di “Qualcuno”, in questo caso una donna comune e non bella vissuta tra le strade di Brooklyn, che diventa cara agli occhi del lettore grazie allo sguardo delicato e partecipato dell’autrice, che su quelle stesse strade è nata.
“Sgusciando dal buio primigenio nella polverosa luce cittadina di quelle stanze, incontrai le facce sfocate dei genitori che mi erano toccati, senza che ne avessi alcun merito: facce che persino ai miei occhi difettosi, diciamo pure malformati nelle ore di quel primo buio, erano stravolte dall’amore”.
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