Quante cose ci ha rubato la guerra
- Autore: Manuela Barban
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Una piccola scatola ha conservato per lunghissimi anni le lettere del nonno della nostra autrice, appunti e piccole cose del suo periodo a Trieste durante la guerra quando era operaio all’Ilva. Una storia familiare e vera: la famiglia di Goffredo e Silvana divisa dagli anni tragici della Seconda guerra mondiale, ma “uniti dal bisogno di libertà”.
Quante cose ci ha rubato la guerra (Las Vegas Edizioni, 2024) è il romanzo d’esordio di Manuela Barban, nata a Savona, ma che vive a Torino ed è tra i fondatori della rivista letteraria Crack.
L’autrice ha raccolto le memorie della sua famiglia tra il 1943 e la fine della guerra: la sopravvivenza, la resistenza, lontani e divisi, senza mai sentirsi abbandonati ma uniti nel difendere sè stessì, la propria famiglia e la propria patria.
Lettere che descrivono il dramma del loro quotidiano, mille difficoltà per poter sopravvivere in un’Italia affamata, bombardata, violata dalle truppe naziste.
E come ha scritto Giovanna Botteri nei suoi numerosi reportage, “dell’umanità dietro la storia”, l’esperienza della gente comune nei luoghi di guerra.
Dopo l’armistizio proclamato da Badoglio migliaia di soldati vennero fatti prigionieri dall’esercito tedesco e deportati in Germania. Nessuno più si sentiva al sicuro, e Goffredo portò via in treno da Trieste Silvana e la piccola Egizia fino in Liguria, ad Albisola, dove le proprie famiglie si sarebbero occupate di loro.
L’8 settembre aveva dato inizio all’occupazione militare tedesca in tutto il nostro Paese. I tedeschi ispezionavano caserma per caserma, treni, ovunque alla ricerca di soldati italiani considerati disertori e mentre gli alleati avanzavano si accanivano “a sfigurare” le nostre terre.
Rastrellamenti ed esecuzioni, bombardamenti nelle città del Nord e in particolare sugli obiettivi principali e strategici come i porti, razziando e minando le fabbriche.
In una tale drammaticità Goffredo sentiva sollievo nel sapere al sicuro la moglie e e la figlia; la distanza tra loro sarebbe stata colmata dall’invio di lettere, scritte giorno dopo giorno, e ora giunte a noi. Non riusciremo mai oggi a immaginare il dramma della guerra.
La storia di Goffredo e Silvana è la storia di coloro che sono stati testimoni di un’esperienza sconvolgente, funesta, la cui memoria va custodita. Silvana era la quarta di sette fratelli; il padre, perugino, aveva lasciato l’Umbria e trovato lavoro a Savona. La Grande Guerra “aveva lasciato migliaia di giovani morti” e nel 1921 si riconobbe nelle idee di Mussolini.
Padre padrone, un uomo d’altri tempi, aveva trasmesso la passione dell’arte e della letteratura ai figli. Per Silvana, cresciuta in un ambiente più istruito, era difficile adattarsi alle esigenze dei suoceri, e invierà al suo amato lettere infuocate nelle quali racconterà tutto il suo disagio.
Per amore di Goffredo, che amorevolmente chiamava “Fred”, aveva lasciato il suo lavoro di contabile per seguirlo da Savona a Trieste, all’Ilva.
Rientrata in Liguria si ritagliò del tempo per fare piccoli lavoretti a maglia che l’avrebbero aiutata a portare avanti la sua famiglia. Goffredo intanto a Trieste avvertiva la sua mancanza, soprattutto della bambina, e del suo profumo di latte e talco sulla pelle.
Chissà se la piccina si sarebbe ancora ricordata di lui, alla fine della guerra. Quanto ancora doveva durare questa guerra maledetta, con l’Italia spezzata in due, i bombardamenti alleati, i tedeschi in casa e la fame, il freddo? Sentiva crescere la frustrazione di non poter fare qualcosa per cambiare la realtà, ma cosa avrebbe potuto fare?
In una città piena di spie, che era stata palcoscenico per Mussolini per la promulgazione delle leggi razziali, di delatori che per denaro vendevano i vicini di casa ebrei, che arrestati sarebbero stati torturati dalle SS alla Risiera, divenuta campo di prigionia e di sterminio, un uomo solo cosa avrebbe potuto fare contro tutto questo orrore?
Era arrivato il momento di avere il coraggio di schierarsi, e dopo il bombardamento di Savona, dopo i pensieri più nefasti, Goffredo decise che Fred sarebbe stato il suo nome in codice nella Resistenza. La guerra era dura, era fame, sofferenza e rappresaglie.
Anche all’Ilva la tensione la si sentiva addosso; i macchinari potevano essere smontati dai tedeschi e portati via in Germania.
Nonostante la paura e lo sgomento la fabbrica non doveva fermarsi. Fred e i compagni rimasero in allerta e vigili, nonostante le ritorsioni dei nazisti.
Trieste era sotto assedio, fino a quando con l’arrivo dei partigiani di Tito i tedeschi iniziarono ad andare via lasciando alle loro spalle macerie sui loro orrori. Dopo la liberazione e alla fine del conflitto, Goffredo, di nascita ligure, sarà nominato membro della consulta comunale per il suo operato.
Rifiuterà, con una lettera indirizzata al Consiglio di liberazione di Trieste, perché ritenne più idoneo che il suo posto venisse ricoperto da una persona del posto.
Una bella storia di coraggio, determinazione e di sentimenti è narrata in Quante cose ci ha rubato la guerra; una lettura che emoziona nel racconto di uomini e donne che hanno sofferto e lottato per noi contro le atrocità della guerra e creduto profondamente nel coraggio e nella libertà, l’essenza della vita.
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