Quel tesoro di mio figlio
- Autore: Giuseppe Giacobazzi con Duilio Pizzocchi
Il mestiere del comico può sembrare, ad un’analisi superficiale, il più semplice del mondo, riservato a quei privilegiati che non hanno fatto altro che trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Una più attenta osservazione rivela però che la realtà è ben diversa. Esistono, è vero, comici di poche pretese, che costruiscono una fama il più delle volte temporanea su di un tormentone scelto a caso, ma un bravo comico, specialmente se monologhista, deve avere ben altre caratteristiche. Il bravo comico è acuto osservatore della realtà, possiede una cultura non indifferente e sa fare buon uso del “sentimento del contrario” di pirandelliana memoria: in pratica, deve saperci presentare il lato grottesco della vita di ogni giorno e far scaturire la risata dalla nostra identificazione nelle situazioni, per quanto esasperate, che ci descrive. Giuseppe Giacobazzi, ospite fisso del programma “Zelig”, rientra a buon diritto in questa categoria di comici bravi ed intelligenti.
Per ogni comico che si rispetti, pubblicare almeno un libro è ormai diventato un dovere. Ultimamente, però, la tendenza non è tanto quella di mettere per iscritto i propri monologhi, per quanto esilaranti (i libri di Luciana Littizzetto sono un buon esempio del genere), ma piuttosto quella di scrivere un vero e proprio romanzo breve. Si tratta, ovviamente, della scelta più difficile: non solo il comico, diventato scrittore, si trova privo dell’aiuto che normalmente gli viene dalla mimica facciale e dalla gestualità, ma bisogna anche considerare che la forma del romanzo non offre quell’immediatezza che invece si ritrova nella trascrizione fedele di un monologo. Bisogna costruire una trama, rendere credibili situazioni e personaggi, affrontare anche passaggi “morti” atti a legare insieme il tutto: non ci si può semplicemente salvare con un fuoco di fila di battute.
In questo caso, il risultato è una favoletta per adulti, un libricino da ombrellone scritto “al maschile”, che vale la pena di prendere in considerazione anche solo per l’originale idea di fondo.
Un’iscrizione a Facebook può riservare strane sorprese: anche una richiesta di amicizia da parte di una tedeschina che sostiene di averti conosciuto vent’anni fa a Rimini, e che ti annuncia decisa che hai un figlio già adulto e che sta per venirti a trovare insieme a lui. E’ così che Giuseppe si trova davanti ad Helga, nazista convinta ed esaltata che sostiene di essere la figlia segreta di Hitler e gli presenta Siegfried, loro figlio. Il suo destino è quello di seguire le orme del nonno, e Giuseppe, nelle intenzioni di Helga, dovrebbe completare il suo indottrinamento: in fondo, il più importante alleato proprio del nonno era anche lui romagnolo... Ma Helga forse non conosce la vera natura dei romagnoli: solari, gaudenti, innamorati della vita. Giuseppe, coadiuvato dagli amici di sempre, invece di rafforzarle cerca di distruggere le certezze di Siegfried a suon di mangiate, bevute, sesso e sregolatezza. Il colpo finale, però, lo darà la sensibilità del ragazzo che tornerà fuori. Ed Helga? Mascolinamente, gli amici stimano che abbia bisogno anche lei di sesso, ma forse anche lì manca solo un po’ di sentimento...
Se prenderete questo romanzetto per quello che è e non vi farete spaventare da qualche parolaccia, alla fine della lettura sorriderete e magari vi sentirete anche un poco commossi da questi amici, gaudenti ed impenitenti, sì, ma anche e soprattutto di buon cuore.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quel tesoro di mio figlio
Lascia il tuo commento