Quella notte all’Heysel
- Autore: Emilio Targia
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Sperling & Kupfer
- Anno di pubblicazione: 2015
Ho quasi pudore a scrivere di Quella notte all’Heysel di Emilio Targia. Ho pudore perché è un libro nero, listato a lutto. Racconta di gente che muore a una partita di calcio. E di gente che muore a una partita di calcio è terribile parlare, figurarsi scriverne. Ho pudore perché la finale di Coppa dei Campioni del 29 maggio 1985 si incista ancora tra i miei ricordi più accesi. All’Heysel di Bruxelles la Juventus si giocava col Liverpool il trofeo più importante della stagione. Non ero allo stadio: ero tra quelli che credevano di tifare alla televisione e a un certo punto si sono trovati a guardare in faccia la morte in diretta. Sono stato di quelli che non hanno capito. Non subito, non fino in fondo. Sono stato tra quelli che ha persino esultato al rigore di Platini e non trovo giustificazioni per quel gesto, se non nella fede cieca per la mia squadra di calcio e nell’immaturità dei miei vent’anni. Per quest’ultimo fatto non provo pudore, piuttosto vergogna.
“Quella notte all’Heysel” (Sperling & Kupfer, 2015) ha una copertina agghiacciante. Una scarpa da tennis sbavata di sangue evoca l’orrore consumato quella notte. La cruda realtà dell’Heysel, 30 anni esatti tra una manciata di giorni. “Quella notte all’Heysel” non è un saggio e non è un romanzo. Lo ha scritto il giornalista Emilio Targia sul filo di ricordi dolorosi (lui c’era all’Heysel. Del massacro della curva Z ha udito le “voci” e assistito alle scene) ed è per questo che “Quella notte all’Heysel” non è un saggio e non è nemmeno un romanzo. Non-fiction, si usa scrivere oggi. Della specie più lancinante e necessaria. Come risulta necessario, delle volte, ricordarsi di ricordare. La cronaca dei fatti che vorresti obliare e sai che invece non si può e non si deve. Per cui lo sguardo dell’autore ti inchioda e si mantiene fermo a sua volta. Prima-durante-dopo il 29 maggio del novecentottantacinque in un libro. Stazioni inestricabili di un’ontologia che attraversa molteplici stati d’animo che è persino retorico elencare.
Ho come l’impressione che “Quella notte all’Heysel” deve essere costato molto al suo autore. Un libro così non lo scrivi a cuor leggero, un libro così lo scrivi per dovere: per te stesso e per i morti (39) nel crollo del settore Z, dopo la carica degli inglesi. I morti con le sciarpe dei tuoi stessi colori: bianco e nero a un certo punto chiazzati di rosso. “Quella notte all’Heysel” può essere assunto, allora, come la cronaca di una tragedia sotto molti aspetti annunciata (gli hooligan imperversano e la polizia sta a guardare). Cento pagine e spiccioli accorate. Con una corposa appendice che annovera le opinioni di chi c’era. Arbitro, calciatori, dirigenti, giornalisti. Tifosi e parenti delle vittime, legati al filo rosso e trasversale di un dolore atroce, che non passa mai. Prefazione e postfazione del volume sono firmate - nell’ordine - da Sandro Veronesi e Antonio Cabrini.
Quella notte all'Heysel
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