Questione di rispetto. L’impresa di Gaetano Saffioti contro la ’ndrangheta
- Autore: Giuseppe Baldessarro
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Rubbettino
- Anno di pubblicazione: 2017
Con Questione di rispetto. L’impresa di Gaetano Saffioti contro la ’ndrangheta (Rubbettino, 2017) non parliamo di un libro ispirato a una storia vera perché si tratta, in realtà, di una storia vera. Una storia raccontata da Giuseppe Baldessaro, che ha vissuto, grazie alla viva voce del protagonista, un esempio di civismo e di coraggio rarissimi contro la ‘ndrangheta.
Gaetano Saffoti è la classica vittima della mafia del cemento, quella consolidatasi subito dopo il “pacchetto Colombo” degli anni ‘70 e che ha dominato (e domina) la Calabria e la piana di Gioia Tauro con gli appalti del porto, dell’autostrada, della viabilità, dell’edilizia popolare, del metano e così via. Saffioti è stato vittima da sempre, vittima “normale” della legge del pizzo e delle forniture imposte che regolarmente vige da secoli, sin dal servizio di “guardianìa” del mondo rurale, di atavica memoria.
L’imprenditore Saffioti, come il buon padre di famiglia tutela fino all’ultimo i dipendenti e la propria azienda. Un’azienda costruita nel tempo, lavorando senza tregua e in prima persona sui mezzi di scavo e di trasporto; un’azienda che è cresciuta grazie alle sue intuizioni e agli investimenti oculati e lungimiranti. Un po’ come prima di lui fece il padre, che però li lasciò orfani a 50 anni costringendo la madre e i fratelli a dover lavorare per sopravvivere e a mantenere la “dignità” anche quando gli “uomini di rispetto” provavano a sottrarre loro il lavoro da frantoiani o a chiedere le prime “cortesie”.
Gaetano Saffioti già da piccolo è stato grande appassionato di macchinari per l’agricoltura, trattori, attrezzature, camion, ruspe. Gli luccicavano gli occhi e gli si riempivano il cuore e la mente di sogni, quando insieme al padre e al fratello visitavano le fiere di settore. Un vero “lavoratore della terra” grazie all’aratura perfetta che offriva fin da giovane: precisione maniacale che lo faceva apprezzare ovunque. Un innovatore, un creativo che trova le soluzioni a tutto, anche nelle demolizioni più ardue e nel movimento terra più complesso o nella fornitura di cemento di altissima qualità e nella realizzazione di piazzali ed edifici. Un uomo che vuole vivere di lavoro ed esperienze all’aperto e per la famiglia: tant’è che abbandona anche il ruolo di guardia penitenziaria ottenuto con un regolare concorso. Un lavoro durato poco, per il quale era anche stimato dai suoi superiori e che gli fece comprendere ancora meglio, se ce ne fosse stato bisogno, proprio nel carcere di massima sicurezza della sua Palmi (Reggio Calabria), la differenza tra “rispetto” e “dignità”.
È nota la generosità e la bontà d’animo di Gaetano, sempre pronto a sponsorizzare iniziative ed eventi culturali e sportivi. E anche per questo è amato da tutti. Forse un po’ troppo anche dai mafiosi di varie cosche, che chiedono sempre di più, sempre di più e senza alcuna pietà. Gaetano vive in un altalenarsi di stati d’animo logoranti, di tensioni continue che ne minano la serenità e il fisico: il dover abbassare la testa e pagare, i tentativi di opporsi a richieste sempre più esigenti, le minacce in crescendo, un tentativo di registrare addirittura il colloquio con un boss latitante al cui cospetto è stato costretto (come altre volte), fino alla decisione di “vuotare il sacco” e denunciare. Dopo aver registrato e annotato tutto quanto accadeva contro di lui. A rischio della vita, ma necessario, perché era alta la probabilità che durante un eventuale processo, lo facessero passare per un connivente anziché per una vittima.
Una decisione grandemente sofferta, psicologicamente e fisicamente, essendo pienamente consapevole dell’imminente stravolgimento della propria vita e del rischio altissimo per la sua famiglia e per i suoi dipendenti. Fino alla delusione, dopo aver compiuto “il fatto”, dovuta all’abbandono immediato da parte di amici, parenti, collaboratori.
Gaetano si ritrova solo. Solo con se stesso con i suoi dubbi, con la sua famiglia e con le forze dell’ordine. Forze dell’ordine di cui fidarsi. Difficile farlo. Ci aveva provato in passato, ma senza esito. Fino a quando individuò le persone giuste nel comandante della guardia di finanza Raimondi e quindi nel magistrato Pennisi. Alla fine ne è valsa la pena. La prima notte da testimone di giustizia è stata la più difficile della sua vita. Era il 2002 e con la moglie Caterina decide di respirare libertà, grazie ai profumi e ai paesaggi della sera in moto, come da giovane. Sapeva che sarebbe stata l’ultima vera occasione. L’alba della prima giornata da testimone di giustizia, subito dopo la notte in cui sono scattate le manette per decine di mafiosi e favoreggiatori, scopre che la scorta, per sbaglio, stava piantonando una altro indirizzo vicino! Per un attimo gli cade il mondo addosso e guardando il cortile dell’azienda con i propri camion, che per molto tempo non lavoreranno più, capisce comunque che non può tornare indietro. E il senso di solitudine lo assale per la prima volta per non lasciarlo mai più. Il buon comandante Raimondi diventa un fraterno amico e risulterà vittorioso insieme a Gaetano per aver fatto arrestare i membri dei vari clan egemoni e aver aperto la strada a nuove indagini e futuri arresti, scoperchiando al solito le consolidate e risapute connessioni tra ‘ndrangheta, politica e istituzioni e le rotte di interessi mafiosi che dalla Calabria arrivano diritte diritte al Nord Italia. E Gaetano giungerà anche al Nord per lavorare, per poco tempo, lontano da Palmi, visto che ha scelto di non cambiare identità e di accettare la vita blindata. Ma anche al Nord purtroppo la ‘ndrangheta esiste e opera, lo isola e, addirittura, ne subisce gli attentati! Sembra incredibile, ma è così. Ma Gaetano vuole e deve continuare a testa alta e non si arrende.
Un percorso interiore faticoso e defatigante quello di Saffioti, descritto da Baldessarro quasi come fosse un compagno d’avventura. Una scelta, sofferta, fatta di sigarette e notti insonni, paure e indecisioni continue, da perderci la salute. Una montagna da scalare fino ad arrivare alla vetta per godere del panorama finale, e appagare gli sforzi e goderne l’obiettivo… ma con il dubbio del precipizio successivo, a pochi passi.
Valori come la fiducia, la lealtà, la famiglia, la “dignità” devono sostituirsi, nell’impegno di Saffioti, a quello dominante del “rispetto”, inteso, in realtà, come schiavitù vera e propria. Anche la vita blindata sa di schiavitù e di mancanza di libertà. Ma è diverso. Manca l’aria anche all’aperto, manca l’aria nelle squallide aule dei tribunali. Ma è diverso. Le regole della ‘ndrangheta sono precise anche se non scritte: le percentuali da versare, i lavori a cui rinunciare, gli attentati da subire per uno sbaglio o per un tentativo di resistenza. Regole da rispettare di uno Stato nello Stato a tutti gli effetti. E liberarsi di questo peso opprimente, comunque ti fa alzare la testa, respirare e sentirti libero. Finalmente.
Un concetto che riaffiora alla mente di Saffioti e che risale alla propria infanzia. Gaetano ricorda quando aveva 8 anni: un campo estivo scolastico in montagna, atteso, desiderato e conquistato con il merito scolastico tra gli uliveti di Sant’Eufemia d’Aspromonte a qualche chilometro da Palmi. Il padre improvvisamente venne a prenderlo, in fretta e furia, apparentemente senza un motivo e senza spiegazioni plausibili. Per la prima volta lo vide sconcertato e mostrava atteggiamenti protettivi e di affetto. Solo dopo tanto tempo seppe che il padre era preoccupato a causa di una minaccia subita nei confronti suoi e della propria famiglia, da parte di gente che sapeva della vacanza del figlioletto e che non tollerava il suo non volersi piegare a una “questione di rispetto”. Gaetano lo scoprì dopo la morte del padre e non poté chiedergli scusa per farsi perdonare del rancore provato. Così come quando ricordò il padre schiaffeggiato in una strada di campagna da “gente di rispetto”.
Adesso toccava a Gaetano provare a non far vivere ai propri figli la stessa sensazione, ribellandosi ad uno status quo diffuso che gli avrebbe cambiato la vita. Ma lui ha deciso di non cambiare identità e paese, ma di rimanere a Palmi a continuare la sua attività sotto scorta. Gaetano diventa testimone di se stesso e di un nuovo modo di essere calabresi. Il suo messaggio con il suo continuo tour presso le scuole, le istituzioni o tramite il libro è chiaro e diretto: se si vuole si può e solo se in tanti, nel tempo, il cancro della ‘ndrangheta si può combattere ricordandosi che “la dignità non si compra, si conquista e si difende”.
Questione di rispetto. L'impresa di Gaetano Saffioti contro la 'ndrangheta
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