Ritorno a Caporetto
- Autore: Pier Paolo Cervone
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2017
Si pronuncia Caporetto in italiano, Karfreit in austriaco, Kobarid in Sloveno, si legge: disastro. Nel centenario della battaglia, in “Ritorno a Caporetto”, un volume Mursia (prima edizione 2017, pp. 136, euro 16,00), il giornalista de La Stampa e scrittore di storia Pier Paolo Cervone torna ad accusare i responsabili (i nostri generali), di una sconfitta militare diventata una batosta per antonomasia nelle vicende nazionali. E mette a fuoco i protagonisti e le vittime (i soldati italiani). È dichiaratamente un libro da leggere camminando lungo i luoghi dove, alla fine di ottobre del 1917, si è combattuta la dodicesima battaglia dell’Isonzo, un testo agevole, accessibile, adatto a tutti, anche a chi non mastica volentieri la storia di quel conflitto o la storia in generale.
Si può dire paradossalmente che l’Italia ha perso la Grande Guerra a Caporetto e l’ha vinta un anno dopo a Vittorio Veneto, visto che l’offensiva decisiva venne avviata nella data esatta del primo anniversario, il 24 ottobre 1918.
Quella notte, un anno prima, troppi dalla nostra parte del fronte andarono a dormire e non avrebbero dovuto farlo. Che il luogo più adatto per battere l’Italia fosse quel paesino lassù in Carnia, lo aveva scritto già Engels nel 1859. Del resto, il fatto che in tempo di pace tante grandi manovre del nostro esercito si basassero sul possibile sfondamento da Caporetto dimostra la consapevolezza dello stesso Alto Comando grigioverde della delicatezza di quel punto cruciale. E Cadorna, pochi giorni prima di quella botta nei denti, aveva risposto ai giornalisti che non temeva l’offensiva nemica tanto annunciata. Aveva da opporre posizioni forti e ben munite: avrebbe fermato gli austro-tedeschi e fatto sfilare i prigionieri per le vie di Milano. Una spocchia del tutto fuori luogo, come spiega Pier Paolo Cervone.
Con una prosa asciutta, ma anche con grande partecipazione emotiva, il giornalista ligure racconta quello che accadde, dalle premesse alle drammatiche conseguenze. Analizza le cause, indica i colpevoli, valorizza quanti nella tragedia cercarono di mantenere l’equilibrio e di fare il proprio dovere. Smentisce, se ce ne fosse ancora bisogno, la vulgata dello “sciopero militare”. Perché nelle prime linee i nostri si batterono quel giorno, dimenticati da tutti, travolti da un nemico che questa volta era diverso, non più solo gli austro-ungarici, anche e soprattutto i tedeschi, meticolosamente organizzati, innovativi dal punto di vista tecnico e tattico.
“L’origine della sconfitta è militare, seguita e anticipata da una tremenda crisi morale. Poi è scoppiato il panico ed è stato il disastro”.
Formidabile la sorpresa strategica portata sul nostro fronte dalle inedite tattiche germaniche. Nessuno si era accorto che i generali del kaiser erano riusciti a concentrare una superiorità schiacciante di uomini e bocche di fuoco: 2 a 1 per gli uomini, 3 a 1 per le artiglierie, 5 a 1 per le bombarde. 1182 cannoni Krupp e 820 austriaci per un fronte di appena 18 km, una concentrazione pari a Verdun. Gli osservatori avevano inquadrato le batterie italiane, i posti di comando, le baracche e i nodi stradali. Netta anche la superiorità tattica. Piccoli reparti armati di mitragliatrici portatili sfruttavano il terreno aperto per colpire il nemico sul fianco o alle spalle.
Con gli alleati austriaci, i rapporti non erano eccezionali, i tedeschi sono più preparati, hanno gli ufficiali migliori, li consideravano i “cugini scemi”, dei balcanici incapaci e disordinati. Vienna non veniva mai informata dei piani di Berlino. Hindenburg era contrario ad inviare soldati in Italia, ma quando gli dissero che una nuova offensiva italiana avrebbe minacciato il porto di Trieste, autorizzò il generale Krafft a preparare il dispositivo.
“Il terreno è terribile, le posizioni sono formidabili. Però, tenendo conto che di fronte abbiamo gli italiani, ce la possiamo fare”.
I nostri se li aspettavano davanti ed erano pronti a resistere, ma quelli hanno trascurato le cime - contro ogni nostra consuetudine tattica – e hanno attaccato in profondità nelle valli, dove non eravamo preparati a fronteggiarli. Sono passati per la porta di servizio, ci hanno sorpresi, aggirati, demoralizzati.
Oltre a tornare sul territorio, a Caporetto, per verificare direttamente cos’è rimasto di quei giorni, Pier Paolo Cervone chiude lamentando l’occasione perduta del centenario.
“Una tristezza infinita. Non siamo riusciti a far passare un messaggio che altrove è entrato nel cuore e nella mente, di milioni di persone”.
Lombardia, Veneto e Friuli hanno buttato al vento l’opportunità di far crescere il turismo storico-militare. Tra Monfalcone e Plezzo, la prima guerra mondiale ha lasciato tracce importanti, sacrari, opere difensive, campi di battaglia, monumenti di ogni genere. Un inimitabile museo all’aperto. Ma è deprimente il confronto con Verdun o la Somme, paesaggi decisamente meno suggestivi. Sembra che le iniziative volte a valorizzare questo patrimonio unico vengano viste con fastidio. Milioni di turisti da tutta Europa restano a casa loro, invece di venire ad apprezzare testimonianze di enorme interesse storico, insieme alle qualità paesaggistiche, enogastronomiche, artistiche. Una tristezza infinita, appunto.
Ritorno a Caporetto
Amazon.it: 15,19 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ritorno a Caporetto
Lascia il tuo commento