Enzo Jannacci era un modo di essere, mica roba così, che puoi improvvisare dall’oggi al domani. Enzojannacci (da pronunciarsi tutto unito, d’un fiato, come uno scioglilingua o un l(u)ogo dello spirito) non si diventa: si canta, si studia, si suda da Jannacci ma tentare di aggiornarne i climi – sui generis - alle attuali latitudini, è difficile un po’ come tirare le punizioni che tirava Zico. Jannacci non ha eredi, nemmeno uno che gli assomigli per stazza e divergenza, qualche fedele apostolo, semmai. E del resto dove lo trovi un tipo così matto da cantare “Il cane con i capelli” ad un provino Rai in cui ti stai giocando l’avvenire televisivo? Un tipo che titoli di canzoni così, soltanto nel poema dei lunatici (“Vita e bottoni”, “Il pesciolone” , “Secondo te…che gusto c’è?”, “Libe-libe-là”, senza contare il famigerato e summenzionato “Cane con i capelli”). Un tipo che di notte tira tardi per localini e balere (con gente come Gaber, Fo, Cochi e Renato) e la mattina dopo è al pronto soccorso perché di professione fa anche il medico.
Per scimmiottare il titolo del libro di Andrea Pedrinelli (“Roba minima (mica tanto). Tutte le canzoni di Enzo Jannacci”, Giunti, 2014), Jannacci è stato roba minima però serissima, la dialettica incarnata, il punto di raccordo di sinonimi e contrari, sciamano del corpo in quanto dottore, esploratore di anime in quanto aduso ad ascoltare la coscienza, propria e altrui (“Non si traffica con la coscienza. Mai. Se si rinuncia alla dignità una volta, la si è persa per sempre”, ha sentenziato a Pedrinelli in persona). Che poi curare il corpo è persino più facile che occuparsi dell’anima, se ci pensate bene. Mica l’anima la puoi operare (anestesia, bisturi e, se ti va bene, torni a posto come nuovo). L’anima, semmai, la puoi cantare, affrescare per musica e parole, come ha fatto Jannacci con le vite qualsiasi del suo popolo di drop-out senza tetto né legge, in quarant’anni trasversali a cinema, dischi, tv, teatro, cabaret. Perché se Jannacci non è il Buster Keaton della canzone italiana (in senso molto, ma molto lato) poco ci manca. Jannacci che rideva poco ma che faceva ridere, e se faceva ridere era soltanto per non fare piangere, perché in fondo cosa c’è di tanto divertente nella vita se non la vita stessa, se sai maneggiarla con cura e dalla giusta prospettiva?
Enzo Jannacci, che era jazzista a metà, chirurgo a metà, poeta a metà, ma uomo e “saltimbanco” (per usare un’altra definizione di Pedrinelli) lo era per intero: mestieri difficilissimi entrambi, ci vuole orecchio per spuntarla nell’uno e nell’altro campo, non si scappa.
A questo punto cos’altro dirvi in termini più canonici di questo libro? Se non che è firmato da un agit-prop jannacciano di comprovate fede e perizia, se non che è destinato a (im)porsi come punto di riferimento imprescindibile per la bibliografia futura dell’artista in questione. L’ottimo Pedrinelli (ottimo per taglio e per la puntualità di analisi) si impegna sui commenti, i retroscena, le dichiarazioni, le frequentazioni sottesi al canzoniere di Jannacci (233 canzoni per 28 album complessivi), sviscerando storia e contro-storia, censure, aneddotica, sensi univoci e sensi plurimi dei brani che lo compongono. Sa farlo con rispetto ma senza agiografia, non tacendo quindi delle ombre se e quando se ne intravedono nel lungo corso di una carriera spesa da autarchico, da irreggimentato, da privo di paratie ideologiche e di paracadute. Una carriera da cantautore inarrivabile, da cantautore anomalo, frainteso più che sottaciuto, raccontatore di mafia (a Sanremo), malapolitica (di nuovo a Sanremo), malasanità, droga (ancora a Sanremo), sfruttamento minorile, anche se la televisione dall’orecchio della denuncia sociale ci sente poco o niente, e continua a spacciarcelo come quello dello zoo comunale (“Vengo anch’io, no, tu no”) e delle scarp del tennis (“El purtava i scarp del tennis”).
Un altro merito di questo robusto saggio illustrato a colori è quello di togliere dalla polvere il corpus dei brani così detti minori, - meglio: misconosciuti, per pigrizia o scomodità mediatica -, esaminati da Andrea Pedrinelli con la stessa oggettività delle (tante) hit. Chapeau.
Roba minima (mica tanto): Tutte le canzoni di Enzo Jannacci
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