Roman Polanski
- Autore: Jean-Max Méjean (a cura)
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2021
Se ci si ferma alle prurigini della cronaca è finita: Roman Polanski andrebbe affrontato a prescindere dai traumi e dagli eccessi che ne segnano il privato. Larga parte della sua filmografia brilla infatti di luce propria, capace com’è di ricondurre eco del naturalismo intellettuale nouvelle vaugue agli ambiti mediali del cinema americano.
Come scrive il critico cinematografico René Prédal a pag. 19 del volume collettivo pubblicato da Gremese, Roman Polanski (2021, traduzione di Luigi Muneratto):
“Egli è, o aspira a essere, Howard Hawks, George Cukor o Otto Preminger, e non Robert Bresson, Alain Resnais o Michelangelo Antonioni”.
L’eleganza formale di Roman Polanski è dunque tutt’altro che autoreferente, e il suo specifico, non a caso, trasversale ai generi, frequentati e trascesi secondo ottiche e visioni personali. In quanti (registi) avrebbero costretto l’icona Jack Nicholson a recitare due terzi di Chinatown col naso incerottato? In quanti avrebbero licenziato un horror fra i più perturbanti della storia (Rosmary’s baby) senza il ricorso a effettistica o sonorizzazioni ad hoc? (Qualche insert lisergico in obbligo al periodo, semmai). In quanti sarebbero riusciti a confinare il tema della follia (Repulsion, L’inquilino del terzo piano) entro le coordinate dell’insolito e dell’inquietante?
Sostiene Jean-Max Méjean, che cura e introduce il libro:
“Il cinema di Roman Polanski ha […] saputo imporsi con uno stile così particolare e facilmente identificabile che potremmo parlare tranquillamente di Polanski’s touch”.
Si tratta, come si sa, del “tocco” registico prerogativa dei più grandi. Il tratto caratteristico, inconfondibile sin dalle prime inquadrature di cui è provvista la narrazione polanskiana. Ventitré lungometraggi e circa quindici corti, tutti esaminati in questo volume a più voci - critiche, biografiche, analitiche, psicanalitiche persino – che restituiscono il quadro espressivo del regista polacco (naturalizzato francese), riassunto da Malgosia Abramowska (sua assistente personale dal Pianista in poi) in questo modo:
“Roman Polanski è un direttore d’orchestra che sa suonare tutti gli strumenti”.
Buona parte della filmografia polanskiana appartiene insomma, a buon diritto, all’immaginario cinefilo collettivo. Cito a saltare, non certo in ordine di merito: Il coltello nell’acqua, Per favore non mordermi sul collo, Tess, Frantic, Luna di fiele, La morte e la fanciulla, La nona porta, senza contare i film già menzionati.
Abile orchestratore di riprese in interni claustrofobici (persino in Carnage, commedia sottotraccia ferocissima, tratta da Yasmina Reza), declinatore di topos a dispetto delle trame disparate (l’acqua, l’eros, l’allucinazione, l’angusto, il delirio), Roman Polanski emerge da questo elegante lavoro editoriale (si veda anche l’inserto fotografico curato da Enrico Giacovelli) in inquadratura ravvicinata – proprio in quanto parcellizzata in diversi punti di vista - tra le più espressive/significative.
Consigliato rivedere l’intera filmografia del regista alla luce delle analisi critiche contenute nel libro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Roman Polanski
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