Il mare ha una voce, una voce precisa, la stessa che si ode segreta racchiusa tra le spirali di una conchiglia come nella profondità impenetrabile di un abisso. Gorgoglii, risacche, gocciolii, zampilli, rombi tonanti e schiocchi; i suoni dell’acqua sono infiniti. In S’ode ancora il mare il poeta siciliano Salvatore Quasimodo trasforma la voce del mare in ricordo e nostalgia d’un tempo lontano. Il tramestio delle onde diventa metafora della memoria, costruisce un tempio acqueo capace di custodire il passato e infine si tramuta in una voce di donna, eco remota di una musa smarrita nell’intricata rete del tempo.
In questi versi Quasimodo cela il sentimento di lontananza dalla propria terra d’origine, la Sicilia. È una poesia lenta e struggente, come una cantilena, e noi oggi possiamo coglierci il sentimento di malinconia acerba di un giorno di fine estate che ha il sapore dell’acqua salata e degli amari flutti marini che si schiantano furiosi sugli scogli al tramonto riempiendo l’aria di spuma bianca.
S’ode ancora il mare è tratta dalla raccolta Giorno dopo giorno (Milano, 1947), pubblicata da Mondadori con un’introduzione a firma di Carlo Bo. Scopriamone testo, analisi e commento.
“S’ode ancora il mare” di Salvatore Quasimodo: testo
Già da più notti s’ode ancora il mare,
lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce.Eco d’una voce chiusa nella mente
che risale dal tempo; ed anche questo
lamento assiduo di gabbiani: forse
d’uccelli delle torri, che l’aprile
sospinge verso la pianura. Già
m’eri vicina tu con quella voce;ed io vorrei che pure a te venisse,
ora, di me un’eco di memoria,
come quel buio murmure di mare.
“S’ode ancora il mare” di Salvatore Quasimodo: analisi e commento
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Il suono del mare rievoca la Sicilia, l’isola-mito che sempre ritorna nella poetica di Salvatore Quasimodo, allegoria del paradiso perduto della giovinezza. Alla rievocazione del rumore marino fa seguito un’istantanea che restituisce il moto ondivago dell’acqua sulla sabbia dorata e liscia: il tramestio delle onde riporta alla mente del poeta la riva sabbiosa, come se non potesse dissociare il rumore del mare dalla sua immagine.
Nella seconda strofa però la poesia sembra sfumare nell’astratto e nell’irreale. Capiamo che in realtà ciò che viene evocato non è un luogo concreto, ma un regno della memoria. Al suono del mare si sovrappone una voce di donna che pare provenire dall’abisso di profonde lontananze.
Per la prima volta Quasimodo ci fornisce un’indicazione temporale: è il mese di aprile, dunque l’estate è già trascorsa oppure ancora in procinto di arrivare. Aprile si personifica, agisce: è il mese stesso a “sospingere” il ricordo nella mente del poeta. Ecco che la voce di una donna riecheggia come il canto di una conchiglia, restituisce all’uomo la nostalgia di un tempo perduto per sempre, forse una lontana estate sull’isola.
Nella strofa finale la voce e il mormorio delle onde diventano un tutt’uno, si sovrappongono tra loro in un frastuono assordante. Emerge quindi un suono che ha una sfumatura cupa di “buio”, oscura come l’abisso e come i meandri più profondi e inattingibili della memoria. L’abisso diventa quindi metafora di un mondo sommerso che appartiene a tutti noi: è il passato che si cela invisibile sotto i molteplici strati del presente, il filo nascosto, segreto, della memoria. Il rumore cupo del mare, i suoi rimescolii, borbottii, ci invitano a guardare sotto la superficie azzurra e liscia, dove si nascondono relitti e tesori sommersi.
Attraverso la metafora del mare Salvatore Quasimodo ci fornisce la più perfetta descrizione della memoria e del suo funzionamento. Un ricordo può essere riattivato da un semplice rumore, da uno stimolo esterno capace di ricondurci in un tempo lontano. La compresenza tra presente e passato viene resa efficacemente attraverso l’immagine marina, fragile schermo acqueo che divide un sopra e un sotto: la terra dall’abisso. Cosa si nasconde sotto la superficie? Il passato è un tesoro inestimabile o un relitto abbandonato? Quasimodo carica la voce delle onde di una nostalgia struggente, perché nel loro moto perenne è contenuta la grande ingiustizia del tempo: che va sempre avanti, non torna mai indietro. Il passato, però, fa ancora rumore, continua a scorrere nell’inconscio come l’eterno fluire dell’acqua.
L’impossibilità di rivivere l’amore perduto è resa infine dall’inattingibilità del ricordo. Il poeta sente risuonare nella mente la voce della donna; ma lei non è con lui e non può condividere il suo pensiero. Dinnanzi allo scoglio di questa verità una distanza invalicabile li divide e il mare diventa emblema di un’infinita lontananza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “S’ode ancora il mare”: il rumore del passato nella poesia di Salvatore Quasimodo
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