Santo mostro
- Autore: Allan Gurganus
- Casa editrice: Playground
- Anno di pubblicazione: 2009
“[…] il gioco è sempre libero e santo.” (Pag. 53)
Allan Gurganus appartiene alla schiera degli scrittori della provincia americana più profonda: riesce a narrarci avvenimenti brutti, sporchi e cattivi, argomenti di cui altri si terrebbero lontani, ma, soprattutto, riesce ad entrare nella psicologia dei giovani, dei ragazzi in fase di crescita con le pulsioni prevalentemente erotiche e psicologiche. Nella raccolta Piccoli eroi (Playground, 2011) i suoi “piccoli eroi” erano già grandi personaggi, degli uomini in un miniscolo corpo, con l’aspirazione di maturare rapidamente.
Nel romanzo Santo mostro (Playground, 2009), un altro ragazzino di otto anni si getta nel nostro cuore. Lo conosciamo immediatamente in un inizio al fulmicotone. In un uragano di suoni, in un turbine di parole, in un susseguirsi frenetico d’immagini, il bambino scopre la madre con un uomo. La scena è perentoria, cinematografica: lui è un veterinario e la sta cavalcando con furore erotico animalesco; la scena come una saetta si ficca nella mente del fanciullo, lacerando ogni sua minima ragione.
La scoperta è un’esplosione di rabbia e di profondi rancori latenti, e pure un momento di superbo esempio di amore, con un riconoscimento formale di una breve vita piena di dubbi e di tensioni emotive. Lo scoppio scatena la distruzione irrimediabile delle fondamenta dell’effimera convivenza.
Il figlio vive con la madre Grace e il padre Clyde. Grace è insoddisfatta, si è sposata per sfinimento umano e per nascondere l’errore della sua esistenza. Il padre è invece un uomo semplice, umile, modesto, che ama il figlio con una passività totale e infinita, stesso sentimento che prova, non ricambiato, per la moglie. Anche con lei dimostra una dedizione totale, fino ad allontanarsi da lei per concedergli le sue fughe d’amore. Clyde trova conforto nell’affetto dolce per il figlio e nella sua religiosità. Per loro la domenica è sacra. Ignoriamo se per lasciare sola la moglie o per un sentito spirito di evangelizzazione, ma ogni festività Clyde e il figlio vanno a vendere le Bibbie nei tanti motel della regione, tornando la sera, quando la moglie è già stata sicuramente appagata.
Il libro è il racconto della varia sensibilità incontrata in questi viaggi, tutti intravisti con l’occhio del ragazzino e monitorati dall’animo del padre.
Perfino Clyde ha un segreto e lo lascia scorgere di sfuggita.
Nonostante i difetti lui è il suo eroe, il “Santo Mostro”: non è il classico prode giovane e bello, anzi, Clyde è sbalorditivamente brutto e la sua goffaggine fisica è contrapposta al suo carattere e umore simpatico, allegro, gentile: “Mio padre era meravigliosamente brutto.” (Pag. 32)
Clyde riesce ad amare tutti, prova rispetto per la variegata umanità conosciuta nella sua esistenza; non può odiare, ha una venerazione, una stima completa, nonostante le offese ricevute.
All’opposto, Grace è bella, ma insensibile e diversa per emotività: “Intellettuale, malaticcia, snob, viveva in balia di una piccola città rozza e sempre vigile.” (Pag. 14)
I due hanno un unico legame: il figlio. La madre, per risarcire lo sposo delle sue scappatelle, è disposta a lasciar educare il bambino a somiglianza del padre.
L’analisi psicologica dei protagonisti è descritta con il pudore della malizia e Gurganus è il narratore della lunga strada americana, da noi facilmente individuata grazie all’esponenziale rappresentazione nel cinema americano. In queste lunghe vie d’asfalto nasce, al posto delle nostre edicole votive per la Madonna, il motel, superba costruzione consacrata al culto dell’adulterio e del segreto.
Sono i motel i luoghi della conoscenza per il bambino.
Che cosa sarebbe la provincia USA senza i suoi motel?
Dove potrebbe avvenire la crescita per un adolescente?
“Motel viene dal tentativo di accoppiare hotel e motore. Solo in America! Quanto a me, continuo ad adorare i motel. Continuo a trovarli straordinariamente erotici […]” (Pag. 33)
Ogni film americano on the road ha il suo bel motel. In questi luoghi, grazie alle sue camere appartate avviene il massimo sviluppo dell’intimità: uno show di nefandezze, compresi i drammi più angoscianti.
Perciò il ragazzo nei locali incontrerà persone sconvolgenti, e più strane sono più gli appaiono interessanti: un immancabile pedofilo, uno scrittore, un ladro, ma anche tanti gentili gestori e clienti affabili e disponibili. Per un fervente e appassionato cristiano, ex-peccatore, come il padre, il motel è il luogo di convegno fra peccatori, una convention per approfondire la conoscenza dei vizi e delle perversioni. C’è un’accettazione dei delitti umani commessi, fino a riconoscere il controsenso: più colpe si hanno, più si sarà amati:
“[…] per fare i suoi miracoli il Libro Sacro deve finire nelle mani dei peccatori. Deve circolare, non deve stare fermo. Perciò impara a perdonare: ‘È Lui che ci ha fatti, noi siamo suoi’ e poi ricorda figlio mio: Bibbia rubata, Bibbia notata.” (Pag. 75)
Durante i viaggi il figlio, guardando il padre, acquisisce la consapevolezza della loro notevole differenza fisica. Il 15 aprile 1956 è la domenica fatale, in cui il dramma scoppia fulmineo: il bambino, pentendosi un secondo dopo, gli porge l’ineluttabile domanda. Oramai il danno è compiuto, l’immediato pentimento per la sua sfrontatezza, a causa della sua voglia di provocazione, non può essere ritirato. La risposta paterna è incerta e nel pronunciarla la sua bruttezza è accentuata dal dolore e dal suo passato nascosto.
Lo scrittore allora compie un gesto letterario simbolico: la loro automobile si scontrerà con dei cervi e l’incidente provocherà a Clyde una visione interiore sincera. Siamo di fronte alla capitolazione, alla resa incondizionata. Il bambino, in quel momento, si vergogna del padre: “Si muoveva come un vecchio. Lo guardai di sottecchi pensando che non avevo mai visto nessuno invecchiare tanto rapidamente. “ (Pag. 116)
La storia era un flash back, perché tutto il romanzo partiva da quella penosa domenica per ritrovarsi in un percorso circolare al suo inizio.
Santo mostro è un romanzo di formazione: l’incidente e la scoperta del sesso sono una simbologia dell’età matura e della conoscenza del male, e un brusco diventare adulto : “Ma mentre ero lì, improvvisamente mi sentii vecchio, più vecchio di Clyde.” (Pag. 111)
Di fronte al bambino c’è una terribile realtà: la mancanza di amore fra i genitori, i dubbi sulla sua paternità e le incerte origini di Clyde provocano in lui una metamorfosi umana, la simbiosi fra padre e figlio sta svanendo, ora lui è istantaneamente fattosi adulto:
“Nei pochi mesi successivi il mio corpo sarebbe misteriosamente cambiato, assumendo un odore inatteso come di pomi d’ottone, mi sarei allungato all’improvviso, cupo e allampato, e sugli incisivi da marmotta si sarebbero formate delle righe.
Sono certo di essere stato spinto verso l’età adulta dal veleno e dallo shock visivo di quella domenica d’inferno.” (Pag. 120)
Il romanzo si ferma e riprende con il figlio adulto: ora è un professore universitario, insegna greco, è sposato e ha due figli, eppure non ha ancora elaborato il lutto di quella domenica.
Il corpo è cresciuto, ma lui vorrebbe ancora correre, felice, con il padre nelle autostrade per vendere le Bibbie. Nonostante sia un uomo qualcosa si fermato quel lontano giorno.
Deve esaurire il suo dramma filiale. Deve trovare delle risposte impossibili. Cerca un contatto con la famiglia del padre, o meglio, in un testo molto toccante, lo scrittore immagina l’incontro, il dialogo con una zia paterna.
Ma la realtà sarà tristemente contraria.
Dopo tanti anni incontrerà, ancora pieno di dubbi e di paure, nuovamente la madre. Fra loro c’è ancora la disputa e la rabbia di quella famosa scoperta. Non riescono ancora a capirsi e a perdonarsi.
Lei con acrimonia accusa il figlio di essere omosessuale: “Sei così acido che potresti essere gay, Meadows, lo sai? L’ho sempre pensato. Non ti avrei dovuto mandare in quella scuola maschile.” (Pag. 211)
Lui continua con le sue imputazioni mai sopite.
È un dialogo fra due resistenze passive, improvvisamente ha un flash, gli appare di rivedere Edipo uccidere il padre e sposare la madre.
Tuttavia è un passo avanti. Mai c’erano riusciti prima: ora si stanno parlando. Lui intravede una luce, non tutto era negativo in lei, perché sotto il suo apparente menefreghismo aveva la sua visione della vita. Forse i maschi della famiglia avrebbero dovuto cercare di aiutarla, di sostenerla, di capirla. All’opposto si erano chiusi nella loro impenetrabile santa alleanza:
“A vivere con voi due, qualche volta mi sentivo proprio tagliata fuori”. (Pag. 217)
Il romanzo è una lucida introspezione espressiva e sociale di un pezzo di America naturale.
Il figlio è il narratore in prima persona, la cui emotività si divide.
Lo stile è nell’elaborazione dei pensieri del bambino, con il suo intelletto lo stile acquisisce realtà.
Ha la tendenza di voler condividere il suo sentimento con i lettori, infatti, il ragazzo si rivolge direttamente al pubblico, esortando a una richiesta di empatia e di perdono: “… se volete tornate indietro, alle pagine 5-9, poi riprendete da qui, dove vi aspetto.” (Pag. 136)
Perché Clyde gli ha tenuto nascosto le sue origini?
Perché Clyde non si è mai ribellato alla moglie fedifraga?
Con grande conoscenza del linguaggio, Allan Gurganus costruisce una struttura inscalfibile.
Il libro affronta un tema sviluppato anche da Philip Roth ne La macchia umana: la volontà di nascondere le proprie origini, compreso il colore della pelle.
Ci sono vari punti in contatto con il libro di Roth: entrambi i protagonisti sono professori universitari, entrambi di materie classiche, entrambi abbandonano la famiglia, entrambi nascondono le loro origini.
“[…] per la prima volta, capii:
mio padre era un negro
Non un negro “di razza pura” come si diceva allora, ma ora lo sapevo con chiarezza dalla punta dei capelli alla radice del pisello […”] (pag. 106)
Come per il professor Coleman Silk, non siamo di fronte a una forma di razzismo al contrario, non c’è la volontà di nascondere qualcosa. Nel cancellare le origini, nel tagliare ogni relazione con la famiglia, assistiamo a un omicidio emotivo.
Ogni capitolo del libro ha un’intitolazione con un breve versetto della Bibbia.
Le scelte dei testi sono la rappresentazione elevata del pensiero del bambino.
Si comincia con Genesi 3,9-10: “Dove sei?” urla Dio. Adamo si nasconde, si vergogna della sua colpa, del suo peccato. Vergogna, paura, peccato sono i linguaggi del racconto: la vergogna del padre per le sue origini, la vergogna del figlio, il desiderio di scomparire nei motel.
E si conclude con Giacomo 5,16: “Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza.” È il capitolo del dialogo fra figlio e madre, è il momento della confessione reciproca, del piccolo tentativo di comprendersi. Il dubbio però rimarrà per sempre: troppo dolore e troppi vuoti sono stati creati in quelle escursioni nei motel della Carolina del nord.
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