Scritto sul corpo di Alan Bennett

Lo scrittore de La pazzia di re Giorgio, 1996, per i tipi di Adelphi scrive questo librino autobiografico in cui narra, in modo anche scherzoso, le traversie dell’omosessualità a fine anni cinquanta in Inghilterra.

Giacché viviamo in un mondo europeo molto esplicito e spesso sui social esce fuori come da un cilindro che il mondo è dei gay, ricordiamoci da dove partivamo solo un decennio fa.

"Il cruccio della mia gioventù (un autentico fardello) consiste in una crescita ritardata che mi fa sentire diverso dagli altri, quasi marchiato... la doccia è facoltativa riesco a farla franca anche nei due anni di servizio militare... purtroppo, fino ai venticinque anni passati, anche il sesso appare come un club che mi accetterà mai".

Quindi un mondo misterioso, dove impera il disagio e il disprezzo, paura della solitudine, ma anche un modo ingenuo di rappresentare la realtà.

"Il problema non è tanto affettivo, quanto matematico. Se come dicono a volte i giornali (e a quell’epoca dicono molto poco), un uomo su dieci è omosessuale, allora le probabilità di incontrare il principe azzurro sono un decimo rispetto a chi cerca la sua principessina".

Anche in famiglia diventa un peso dirlo: perché far soffrire, perché tanto egoismo, tanto non capiscono, è un fardello inutile su persone semplici.
Alan Bennett da adulto si rifa di tutto quel dolore inutile, si innamora, si lascia, il sesso non è poi il peccato, anzi nei primi anni Settanta diventa addirittura motivo di sazietà, di saturazione.

"Ritardatario cronico, passati i cinquanta anni credevo che sarei rimasto senza legami e invece, per mia grande fortuna ho trovato un compagno che adesso divide con me la sua vita, pur essendo molto più giovane. Non posso certo vantarmi di condurre una vita normale, o, sogno dei miei genitori, una vita come quella degli altri. Ma noi ci accontentiamo".

Vive l’amour.