Scrivo dunque sono
- Autore: Elisabetta Bucciarelli
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2014
Se siete lettori assidui di Sololibri.net so da che parte state. Dovendo scegliere tra il disfattismo ontologico del “chi scrive non vive” e la parafrasi cartesiana “scrivo dunque esisto” so che decidete per quest’ultima: tertium non datur e ditemi che non è vero. Il fatto è che “scrittore” - quanto meno qui da noi - è come dire "C.T." della Nazionale di calcio: un Paese di grafomani, prima ancora che di lettori, e un briciolo di autocritica, come si dice, potrebbe sempre tornarci utile.
A un passo dal manuale di tecniche di scrittura (creativa, epistolare, terapeutica) e a un altro di teoria e prassi del “nosce te ipsum” si piazza questo “Scrivo dunque sono” (a proposito della dicotomia grafico-esistenziale di cui sopra) che Elisabetta Bucciarelli edita per Ponte alle grazie senza colpo subire: il libro è tanto godibile quanto spendibile in senso pratico e non soltanto per gli scrittori aspiranti, in erba o recidivi che siano. Dentro vi si rintraccia, infatti, tutto quello che avremmo dovuto sapere sull’arte del romanzo (e non abbiamo mai osato chiedere, prima di sederci al computer): decalogo, rimandi, esempi sul mestiere di scrivere e su quello di vivere pure, se è vero che a quanto pare anche la semplice nota della spesa rivela di noi più di quanto ci piaccia ammettere (figurarsi un romanzo: “Madame Bovary c’est moi”, dichiarava Flaubert).
Per venire ulteriormente al sodo – altrimenti finisce che la Bucciarelli mi bacchetta sul serio –, fatevi da soli un’idea di questo saggio attraverso le parole introduttive dell’autrice e poi ci si risente:
“Sono dunque scrivo è un viaggio tra le nostre parole e quelle degli altri, una mappa composta da riflessioni e da esercizi con cui mettersi alla prova per scoprirsi tra le righe, per acquisire maggiore dimestichezza con il processo creativo e con il nostro sistema espressivo. E’ la costruzione di un possibile percorso di ricerca per arrivare a un linguaggio capace di dare il nome giusto alle cose e ai sentimenti, poiché solo riuscendo a nominare possiamo fare veramente esperienza”.
Sotteso alle scelte “tecniche” di un romanzo (il taglio narrativo, la forma, l’azione, i tempi verbali, la costruzione dei personaggi) dovrebbe sempre esserci, insomma, lo scavo interiore, il tentativo di focalizzare prima, di rendere intellegibile poi, il proprio excursus individuale. Anche per questi (nobili) motivi mi augurerei che i curiosi - più che gli scrittori potenziali - si accostassero alla lettura di "Scrivo dunque sono": perché esso si intrattiene non soltanto sui così detti “ferri del mestiere” (che non basteranno mai e poi mai, da soli, a fare di una mezza cartuccia un narratore vero) ma si misura, soprattutto, con il “dentro” dello scrittore, con la fatica, l’autoanalisi, il rispetto, l’umiltà che l’atto di scrivere comporta nel lungo processo dall’ideazione alla forma. In tale accezione la scrittura diventa un’azione molto seria: un medium che aiuta alla chiarezza interiore e relazionale, un focus alternativo per guardare a noi stessi e al mondo.
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