Scudi di pietra
- Autore: Riccardo Luisi
- Genere: Scienza
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
I castelli medievali, quanta forza evocano tuttora, soprattutto se ben conservati. Quante suggestioni suscitano in chi li osserva. Quanta bellezza si ammira nei paesaggi che ancora dominano dall’alto. All’arte fortificatoria è stato dedicato nel 1996 un saggio riservato a un pubblico selezionato. Dopo oltre un decennio, la validità di quel lavoro e il progetto di aprirlo ad una diffusione generalista hanno suggerito alla casa editrice bolognese Odoya di far tornare sugli scaffali il volume illustrato di Riccardo Luisi, “Scudi di pietra. I castelli e l’arte della guerra tra Medioevo e Rinascimento”, in libreria da luglio 2017 (pp. 240, euro 18,00).
È di nuovo disponibile, quindi, sempre con l’introduzione di Chiara Frugoni, storica del medioevo e le tante immagini in bianconero (grigio, se vogliamo essere pignoli) che commentano il testo. In appendice, si aggiunge un inserto di riproduzioni a colori fuori testo.
Edificati e chiamati in maniere diverse (rocche, fortezze…) i castelli che punteggiano l’Italia intera hanno tanto da dire tuttora, quanto a storia, architettura, società, costume, arte militare. Tra gli edifici del passato sono quelli che ci accompagnano da più tempo, legati a sentimenti ancestrali come la paura, la fantasia, il mistero. Eppure storici e archeologi hanno prodotto lavori sull’arte castellare solo di recente, affiancandosi agli architetti, la cui attenzione si è però rivolta generalmente al singolo edificio, al recupero e al restauro. Riccardo Luisi vuole ora offrire al pubblico la storia dell’architettura militare e le vicende tra X e XVI secolo, senza trascurare gli aspetti umani di quello ch’è pur sempre il racconto di come l’uomo abbia cercato di rendere sicuro il luogo in cui viveva.
Già i capitoli, nell’indice, sono di per sé un racconto, a cominciare dal titolo della premessa dell’autore: Il castello, assediare, resistere. Secondo capitolo: La città, un cerchio di pietre. Quinto: La diffusione dell’arma da fuoco. Sesto: La rocca, un’architettura di transito. Settimo: Armi terribili, la fame e le epidemie.
Il lavoro di Riccardo Luisi parte dalle mura cittadine e ritorna alle mura, in conclusione, quando mette in luce il ruolo delle donne nel contesto affrontato.
Bastioni e cinte murarie erano i luoghi nei quali si consumava la tragedia degli abitanti, durante la guerra. La componente femminile era tra le più esposte alle violenze, nella conquista di una città. Per questo, non fosse altro che per autotutela, nei momenti di crisi offriva un importante appoggio morale e, talvolta, anche la propria opera.
Specialmente nella guerra d’assedio, tutti i cittadini validi venivano coinvolti nella difesa e le donne dovevano assumere un ruolo attivo. In genere, però, il loro contributo è menzionato superficialmente, come esempio della precarietà cui era costretta la difesa. Anche se fuori del range storico trattato, si pensi all’assedio francese di Torino del 1706: tutti conoscono il sacrificio del geniere Pietro Micca, ma non il coraggio di Maria Bricca, che guidò con successo l’assalto a una posizione nemica fortificata.
I Francesi avevano già sperimentato a loro danno il valore femminile durante l’assedio di Messina del 1282. In una notte particolarmente buia, tentarono di entrare in città, ma vennero sorpresi da due popolane. Mentre una faceva rotolare un masso sugli intrusi, l’altra dava l’allarme suonando le campane. Pericolo respinto. Nella stessa città, pur non essendo impegnate nei combattimenti, le donne facevano la ronda sulle mura e riparavano le difese con pietre e calcina.
A Nizza, nel 1543, un turco ebbe la sfortuna di scalare le mura davanti alla lavandaia Caterina Segurana, che strappata la bandiera dalle mani dell’incursore lo fece precipitare, contribuendo a respingere la pericolosa irruzione.
Un’altra prova di coraggio si osserva alle Scalelle, dove un gruppo di assediate aiutava gli uomini a rovesciare pietre. E Péccioli venne difesa nel 1362 anche da
“femmine armate sulle mura”
mentre le Pisane, a Marti, gettarono molti “bugni pieni di lape” (alveari pieni di api) sugli assalitori, costretti a discostarsi precipitosamente dal castello,
“con molto danno, e molti ne rimaseno morti e andonnone molti inaverati (feriti)”.
Pisane e Senesi si spellavano le mani sui manici di pale e picconi, per riattare le fortificazioni intaccate dal nemico negli assedi cinquecenteschi delle loro città. È giusto ricordare però che in epoca medievale le donne non si sottrassero al soccorso dei feriti e al sostegno dei bisognosi. La Cronica di Filippo Villari mostra le fiorentine, all’indomani della battaglia di Cascina
“fare a gara nel provvedere “di tutto ciò che bisognava i prigionieri pisani allogati nelle prigioni del comune il più abilmente che si poté”.
Nei giorni nostri, armi sofisticate sono capaci di raggiungere in pochi minuti paesi lontanissimi, col loro carico di morte. Lo sguardo di Riccardo Luisi si allarga, invece, sulla guerra
“a misura d’uomo di chi, nel Medioevo e alle soglie dell’età moderna, assaliva o si difendeva, prima della resa degli scudi di pietra e prima ancora che l’annientamento totale del nemico divenisse il possibile strumento risolutivo per decidere le sorti di un conflitto”.
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