Shark. Il primo squalo
- Autore: Steve Alten
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2018
Rilevata la comune medietà di genere, tra “Lo squalo” di Peter Benchley (Mondadori, 1975) e “Shark. Il primo squalo” di Steve Alten (Mondadori, 2018) si estende un abisso. Tanto “Lo squalo” - forse anche suo malgrado - si presta a traduzioni meta-significative (il mostro come emblema perturbante e/o portatore di sovversione e ansia sociali) quanto “L’ultimo squalo” risulta invece didascalico, sobbalzo da baraccone fine a se stesso.
Ancora: tanto inquietante si rivela il soltanto suggerito dello “Squalo” quanto clamoroso ma abusato risulta l’armamentario fobico de “Il primo squalo”. Tutt’e due godibili "letture da ombrellone", ma del primo si continuerà a parlare, del secondo - scemato il traino del film omonimo - temo di no. A onor del vero c’è anche da dire che Steve Alten non imbroglia. È uno scrittore astuto - saccheggia il saccheggiabile da pellicole sul tema - ma non promette capolavori, promette cioè ciò che mantiene: tensione di grana grossa e divertimento assicurato, per il lettore appassionato al genere.
La narrativa d’intrattenimento, del resto, si regge anche così: trucchi del mestiere e accessibilità degli espedienti narrativi. A maggior ragione al cospetto di un argomento trito e ritrito (in special modo al cinema) come quello dello shark attack. Strizzando l’occhio ai topoi da blockbuster, Steve Alten provvede quindi a enfiare “Il primo squalo”:
- a partire dalle dimensioni del mostro (un carcharodon megalodon, gigantesco antenato dello squalo bianco);
- puntando sulla riconoscibilità dei character (eroi ed eroine stereotipati in cerca di gloria e/o di riscatto, grandi amori del passato e amorazzi del presente, afflati prometeici, rimorsi di coscienza, incubi premonitori e quant’altro fa pulp novel);
- puntando sui grandi numeri. Delle vittime e degli attacchi dello squalo (una volta emerso dall’abitat inesplorato della Fossa delle Marianne, Meg ci da dentro con tutto ciò che gironzola in mare aperto (gommoni, sottomarini, barche, navi, naturalmente uomini e donne compresi).
Volendo circoscrivere a un solo elemento la differenza che corre tra gli squali di Benchley e quello di Alten, è nell’estendibilità del senso di minaccia che esso si può rintracciare. “Lo squalo” mette addosso una paura boia perché il pericolo è traslabile a chiunque (lo squalo di Peter Benchley attacca i comuni bagnanti fin quasi alla riva), Meg - data anche la mole - colpisce invece a largo, e soltanto individui che con diverse intenzioni gli danno la caccia.
Per cui, a un cinicone come il sottoscritto, è successo a un certo punto di pensare (alla faccia dell’auspicabile catarsi) “peggio per loro, chi se ne frega”.
Ciò detto: che “Shark. Il primo squalo” sia un romanzo senza grosse pretese letterarie è insito nel genere da cui attinge. È però anche vero che riesce a farsi leggere fino in fondo, tenendo viva, se non altro, una certa curiosità (vediamo Meg chi fa fuori stavolta? altro retro-pensiero tipico da cinicone). La sua forza maggiore poggia propri sulle incisive descrizioni degli attacchi, che - garantisco - non sono pochi e tutti con un buon tasso di contenuti splatter.
Mi preme soltanto mettervi in guardia da grosse aspettative: Shark.Il primo squalo non esprime nulla di nuovo rispetto a quanto già espresso (per libri e per film) sull’argomento. "Shark..." moltiplica semmai all’ennesima potenza quanto già espresso (per libri e per film) sull’argomento. Un voto? Sei e qualcosa, perché il romanzo non si abbandona comunque facilmente.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Shark. Il primo squalo
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