Si può stampare
- Autore: Silvia Lombroso
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
Si può stampare: un titolo che sembra una formula burocratica o una prassi tipografica. Lo riconosce la stessa Silvia Allegrina Forti Lombroso, autrice di “queste pagine vissute 1938-1945”, un libro pubblicato nella primavera 2019 dalle edizioni il Prato di Saonara, Padova (234 pagine 15 euro).
Si tratta del suo diario. Silvia Forti, ebrea veronese, aveva sposato il figlio di Cesare Lombroso, Ugo. Era madre di Nora e Cesare jr. e vittima con tutta la famiglia delle leggi antisemite imposte da Mussolini nel 1938. Una legislazione che la rese clandestina e fuggitiva nell’Italia occupata dai nazisti, durante la Seconda guerra mondiale, quando alle discriminazioni razziali seguirono le persecuzioni e la deportazione della popolazione di fede ebraica.
Le annotazioni partono dall’ottobre 1938, a pochi giorni dalla dichiarazione programmatica del Gran Consiglio del fascismo che annunciava i provvedimenti destinati a privare gli ebrei dei diritti di cittadinanza. Scritto a caldo anche in clandestinità, è uno dei primi documenti autentici della Shoah italiana, un memoriale franco e severo, che non risparmia accuse ai vili, ai complici, agli indifferenti. Avrebbe dovuto vedere la pubblicazione nell’estate 1943, alla caduta del regime dopo l’arresto di Mussolini, ma l’Italia finì sotto il tallone dei tedeschi, tanto più risoluti nei confronti degli europei di religione israelita.
Per sottrarsi alle retate ed ai vagoni merci che avviavano gli ebrei ai campi di sterminio, la signora Forti Lombroso dovette eclissarsi, continuando però la stesura delle sue impressioni sugli eventi. Fu il periodo certamente più difficile, “una serie ininterrotta di dolori e di spaventi”. La pubblicazione dovette attendere perciò la liberazione, nell’aprile 1945, per i tipi delle edizioni Dalmatia di Roma, ma solo in pochi esemplari, presto esauriti. La ristampa anastatica del libretto della casa editrice romana si deve alla Fondazione Cdec di Milano (Centro di documentazione ebraica contemporanea), che ha consentito la possibilità di leggere questo documento raro, steso a caldo. È proposto nella collana Scale Matte (dal nome degli edifici del ghetto di Venezia) delle edizioni il Prato, che in collaborazione con la comunità ebraica veneziana pubblica libri sulla storia, cultura e tradizione israelita italiana.
Questo diario è un documento di valore rilevante, una riscoperta importante, di grande significato storico-letterario. Offre uno spaccato insolito dell’olocausto, perché non riprende la testimonianza di un deportato o un sopravvissuto ai lager nazisti, ma quella di qualcuno che “ce l’ha fatta” a scampare alla cattura, pur dovendo affrontare le pene e i pericoli della fuga.
10 ottobre 1943, notizie da Venezia, la persecuzione ufficiale degli ebrei italiani da parte dei tedeschi è incominciata.
Sono andati in comunità a chiedere gli elenchi delle famiglie con gli indirizzi. Il prof. Y., un medico-filantropo molto amato, li ha promessi per l’indomani. Nella notte ha distrutto tutti i registri e si è ucciso.
Si avverte drammaticamente la gravità di una situazione spietata. In tutta l’Italia i nazisti andavano a caccia di ebrei. La razzia del ghetto di Roma è del 16 ottobre 1943, come si legge sulla lapide apposta nel Largo del Portico d’Ottavia. Al manifestarsi dell’antisemitismo in Italia, nel 1938, Silvia era a Genova col marito, docente universitario di fisiologia. Erano riusciti a far partire i figli, accettando il dolore della separazione pur di saperli al sicuro. Il professore Lombroso aveva perso l’insegnamento, in quanto ebreo e si erano trasferiti a Parigi, ma l’arrivo dei tedeschi, nella primavera del 1940 e l’occupazione nazista della Francia li aveva riportati in Italia, a Torino.
La fine del fascismo, il 25 luglio 1943, rappresentò solo una breve frase di respiro, perché dopo l’armistizio con gli angloamericani i germanici dilagarono nella penisola e la fuga dei Lombroso riprese, a Piubega nel Mantovano, poi a Firenze.
Agosto 1944, la città del giglio è assediata. Gli inglesi sono in Oltrarno, ma i fascisti continuano ad uccidere a piacimento e i tedeschi non esitano a bombardare spietatamente anche i quartieri che occupano ancora, sulla sponda nord dell’Arno.
Hanno ammazzato un giovane ciclista che pedalava con un involto. Hanno ferito due ragazze che correvano con dei fiaschi in mano. La strada è piena di pozze di sangue. Le mura punteggiate di colpi di fucile. In casa non si può stare accanto alle finestre, fuori non si può andare. E siamo senz’acqua.
Un giorno, finalmente e non facilmente, si torna a sorridere.
“Troppo comodo”, per lei, l’atteggiamento di troppi in questi anni. Ritiene giusto che la sua opinione venga conosciuta, dunque “si stampi”, perché chi ha visto ma non ha voluto sapere sappia e veda, chi non agito pur potendo fare qualcosa possa riparare ricordando, chi ha subìto ed è stato rimosso dalla storia possa essere liberato dall’oblio. I figli della coppia israelita, socialista, antifascista erano andati negli Stati Uniti. Rimasta vedova nel 1952, Silvia li raggiunse nel 1956. È morta nel 1979.
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