Soldato Salza Renato. L’eroismo e l’umiltà
- Autore: Anna Raviglione
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Piccinina e Renino, la figlioccia e il secondo papà, l’autrice e il protagonista delle memorie di guerra in Soldato Salza Renato. L’eroismo e l’umiltà. La storia di un sopravvissuto alle campagne di Albania e di Russia, volume pubblicato dalla casa editrice indipendente Tralerighe Libri (2017, 124 pagine), a cura di Anna Raviglione, insegnante di italiano e storia nelle superiori a Biella.
Renino (1912-2002) non era nemmeno parente della Piccinina, ma, amico stretto con la moglie Angiola della madre di Anna, ha accompagnato ogni istante della sua infanzia, dice lei. Da bambina era stata sempre incuriosita dalle vicende di guerra che sapeva affrontate dall’ex fante, su due fronti difficili del secondo conflitto mondiale per l’Esercito italiano. Ma Renato era stato sempre restio a parlare delle sue esperienze, accettando solo di annotare sopra “un duplice foglio” le date più significative della sua permanenza sulle linee greco-albanesi, nel 1941. Conservava qualche foto — sono riprodotte in bicromia nel testo — e aveva anche accolto la richiesta della prof.ssa Raviglione di registrare una testimonianza, da proporre agli alunni a scuola.
Non aveva mai detto nulla, invece, del lungo soggiorno forzato in Russia, dov’era stato prima invasore involontario e poi a lungo prigioniero di guerra, nei duri campi di concentramento sovietici. Su quel periodo si dimostrava ancora più reticente.
A spiegare le ragioni di questo atteggiamento è stato, nella breve presentazione, il giornalista ed esperto della guerra in Russia Pino Scaccia (prematuramente scomparso, alla fine di ottobre). L’ex inviato sui territori più conflittuali del mondo citava Rigoni Stern, Il sergente nella neve, e ricordava che i prigionieri di guerra vivevano con vergogna l’essere vivi, mentre tanti compagni non ce l’avevano fatta: si sentivano in colpa, simbolo della sconfitta e facevano i conti con un senso d’inferiorità collettivo, che li spingeva a farsi dimenticare, a nascondere quei ricordi con una riservatezza più che gelosa.
Sempre Scaccia sottolineava che l’insistenza amorevole di Anna ha indotto Renato Salza da aprirsi e a rivelare aspetti inediti perfino per un profondo conoscitore delle vicende dolorose dell’Armir in terra russa. Vi aveva trovato conferma dell’atteggiamento disteso della popolazione e del senso materno delle donne nei riguardi dei nostri soldati, al contrario dell’ostilità nei confronti dei tedeschi. “Gli italiani erano belli e sorridevano sempre”, gli aveva detto un’anziana contadina: “Avevano un solo difetto - aveva aggiunto - erano sempre affamati”.
La vita di Renino è una specie di romanzo, al di là della sua ritrosia. Nato in provincia di Biella, unico maschio di tre figli, bravissimo disegnatore e apprendista decoratore, venne chiamato di leva a Torino e qualche anno dopo richiamato, appena sposato con Secondina. Ha combattuto in Grecia e poi in Russia, dove finì prigioniero dall’Armata Rossa, riuscendo a sopravvivere a marce, stenti e fame. Tornato rocambolescamente in Piemonte, si ritrovò vedovo bianco: credendolo morto la moglie si era rifatta una vita con uno sfollato e una sorella aveva preso i voti monacali, senza dare ascolto ai genitori che l’avevano pregata di attendere il ritorno del fratello, prima di entrare in convento.
Trovata la casa deserta e il letto vuoto (Secondina s’era portata via anche il materasso) Renato aveva ripreso a lavorare con lena, mettendo su un’impresa di decorazioni edili. Aveva anche incontrato l’amore di Angiolina, dodici anni più giovane. Non potendo sposarsi in chiesa e avendo respinto la proposta di ottenere l’annullamento totale con una spesa spropositata, avevano dovuto attendere la legge sul divorzio negli anni ’70, per regolarizzare un’unione “clandestina”, ma non certo per colpa loro.
Nei racconti e in molte foto delle montagne al confine greco-albanese ricorrono la neve, il gelo, i tanti amici caduti, gli assalti inutili a posizioni riprese subito dal nemico e i colpi di mortaio che cadevano sulle buche, dov’erano al riparo solo dai tiri radenti.
Il ricordo più suggestivo non è di guerra, ma per così dire sociale. Insiste che un giorno aveva visto passare lungo una mulattiera un albanese in groppa a un mulo, con affianco la giovane moglie appiedata e carica di fascine. Insieme a un commilitone, a gesti avevano fatto scendere l’uomo, caricandogli la legna sulle spalle e fatto salire la moglie sul mulo. Il giorno dopo, quello era sul mulo e la donna carica a piedi. Ancora una volta i soldati italiani lo avevano invitato a fare una cosa da uomo, ma nei giorni seguenti la scena si era ripetuta, per l’indignazione e la reazione dei due militari, finché la ragazza non aveva fatto capire loro di non insistere, perché il marito sfogava rabbia su di lei e la massacrava di botte. In quella vicenda, l’unico animale si era dimostrato lui.
Il suo ruolino rileva il richiamo in fanteria nella Divisione Sforzesca il 20 gennaio 1941. Il 25 era già in Albania, spedito subito in prima linea col suo reparto. Vennero avvicendati il 9 aprile: dei 180 iniziali risposero all’appello in 38. S’è per questo, in Russia il Battaglione aveva 740 uomini la mattina del 17 agosto 1942, prima del contrattacco sovietico. A mezzogiorno ne restavano 70.
Nel dicembre successivo, l’Armir era disseminata in un fronte di 240 km, troppi da difendere contro le divisioni corazzate. La vigilia di Natale, sorpassati dai carri armati russi, vennero fatti prigionieri e avviati alla marcia del davai (avanti), affrontando il freddo e la fame senza poter fare niente per i compagni in difficoltà. Restavano indietro e la scorta russa infliggeva il colpo di grazia. Le donne impietosite cercavano di regalare pezzi di pane ai “boni italiansky”, ma le guardie le respingevano.
Non c’era pietà in Russia, ricordare era troppo doloroso per Renato Salza.
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