Sotto le bandiere di San Marco
- Autore: Alberto Prelli, Pietro Compagni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2012
Picca e moschetto Serenissimo perfetto: erano l’armamento principale del soldato della Repubblica di Venezia nel XVII secolo, oggetto d’attenzione di un volume della collezione Itinera Progetti sugli eserciti, uniformi e armi. Pubblicato dalla casa editrice bassanese nel novembre 2012, “Sotto le bandiere di San Marco. Le armate della Serenissima” (224 pagine, 29 euro) è un volume certamente per appassionati, un prodotto editoriale pregevole, con i testi dello storico udinese Alberto Prelli le tavole uniformologiche di Pietro Compagni, ben 24, in aggiunta al centinaio tra disegni, foto e illustrazioni, a commento di un album di formato cospicuo, 21×26 cm.
Prelli è “penna” di prestigio, tanto sul piano storiografico e tecnico militare che nella produzione per il teatro. La sua passione per l’organizzazione degli eserciti è cresciuta esponenzialmente dopo il sodalizio stretto con Compagni, eccellente illustratore, tra i più importanti figurinisti storici. Dire semplicemente disegnatore di “soldatini” sarebbe togliere più che dare ad uno dei pochi eredi di Quinto Cenni, ma chiarisce indubbiamente l’attività del disegnatore che ha firmato le nitidissime, grandi tavole a colori che arricchiscono questo lavoro e concorrono a renderlo invitante.
Ovviamente, Prelli ed anche il bravo partner Pietro, animatore del Gruppo modellistico trentino, hanno dovuto “studiare”, documentandosi a fondo su documenti d’arte militare dell’epoca.
Questo manuale dell’esercito della Repubblica del Leone nel 1600 segue uno schema che facilita l’approccio del lettore. È ripartito in grandi capitoli: fanteria, cavalleria, bombardieri, servizi e milizia de mar, con ampio riguardo alle prime due specialità dell’armata veneziana, dal momento che a fanti e cavalieri sono dedicate ampie sezioni di dettaglio. I lettori vengono informati sull’organizzazione generale della forza militare e poi si entra nello specifico delle armi, dotazioni, uniformi, protezioni a difesa individuale, anche nella loro evoluzione nel corso del secolo. Si pensi, ad esempio, che con l’adozione in larga misura della lunga baionetta inastata sulla canna del già lungo moschetto, si superò la distinzione tra picchieri e fucilieri e si introdusse la figura del moschettiere, incrementando il volume di fuoco delle formazioni di fanteria.
Certo, costava molto mantenere un esercito numeroso anche in tempo di pace. Per questo, perfino una repubblica con possedimenti importanti extraterritoriali, nei Balcani e nelle isole del Mediterraneo, non poteva che fare affidamento sul nucleo ristretto di ufficiali e soldati della forza permanente. Il numero medio si calcola intorno alle 9mila unità (13.280 a piè di lista nel 1701). All’occorrenza, la formazione veniva integrata con mercenari “estraordinari”, “ordinanze” e “cernite”, milizie territoriali composte da richiamati che avevano già esperienza di combattimento, abili nell’uso della picca, fino ai primi del 1600 e poi del moschetto a miccia, non ancora a pietra focaia, beninteso.
Quando si fa riferimento alle armate dell’epoca, non si deve pensare ad una formazione di soli uomini. Gli eserciti erano una specie di caravanserraglio, con mogli, figli e donne di piacere al seguito.
In uno studio come questo, attento anche al vitto e alla paga dei soldati, sono una curiosità i paragrafi in cui si parla della composizione eterogenea delle colonne della Serenissima. Quando una compagnia si muoveva e metteva campo, più che un reparto doveva sembrare una carovana, con un corteo di donne, bambini e anziani, associati a vario titolo ai militari. E tutti con le rispettive masserizie. Erano in tante e tanti a seguire i combattenti nei loro spostamenti, se in un trattato del 1604 il capitano Cinuzzi arriva a sostenere con fermezza che “un esercito deve essere senza donne, senza ragazzi e senza altri agenti inutili”, aggiungendo “ch’è talvolta in maggior copia la gente inutile che si mena dietro che l’utile e l’armata”.
Quanto alla milizia de mar, non ci si faccia sviare dalla suggestione di una fanteria di marina. Era solo un nucleo di fanti di terra imbarcati su battelli da guerra. Gente niente affatto specializzata, quindi, se non in rari casi, dovuti alla lunga militanza a bordo o alla particolare e valida attitudine acquisita dal singolo combattente.
Spazio anche a più di un cenno sulla disponibilità di manovali e genieri e sull’organizzazione di una qualche pratica di sanità militare, certo primitiva e comunque discontinua. Per non dire dell’impotenza davanti alle fatali infezioni che sopraggiungevano per le pessime condizioni igieniche e a causa della presenza di corpi estranei non sterili nelle ferite: resti di stoffe, terriccio, polvere, acque infette. Era così anche nei secoli precedenti e lo sarà nei successivi, fino all’avvento di sulfamidici e soprattutto delle penicilline, a metà 1900.
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