Speriamo per il meglio
- Autore: Carolina Setterwall
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2019
È il 2014. Carolina e Aksel stanno insieme da quattro anni e hanno un bambino di otto mesi. Da poco si sono trasferiti in una casa più grande su insistenza di Carolina, perennemente insoddisfatta e inquieta, tanto da rincorrere un progetto dopo l’altro.
Ma poi arriva il 27 ottobre. Un lunedì mattina come tanti, Carolina apre la porta della camera da letto in cui ormai da tempo non dorme più. Da quando è nato Ivan, che si sveglia ripetutamente per mangiare, è con lui che rimane la notte, su un materasso nella stanza accanto. Ma stavolta è andata meglio delle altre notti: Ivan gattona felice fuori dal letto, e Carolina lo prende in braccio prima di entrare. Non sapendo che la sua vita cambierà per sempre.
"Metto Ivan sul letto per farlo gattonare da te, in modo che sia la prima cosa che vedi appena apri gli occhi. Dico buongiorno papà con il tono per parlare con Ivan, indirizzando però le parole a un altro adulto. Di solito te. Ivan si dirige verso la testata del letto, ma quando comincia a gattonare mi accorgo che qualcosa non va. Sei in una posizione che non assumi mai mentre dormi. Ricurvo e piegato, semiprono, la faccia premuta contro il cuscino. C’è qualcosa di strano nel colore della pelle. È più chiaro del solito. Senza vita".
"Quasi non ho il coraggio di toccarti la caviglia, che spunta dalla coperta ai piedi del letto, dove mi trovo io. Lo faccio lo stesso. È fredda. Pallida. Rigida contro le mie dita. Non scorre sangue. Non ci sei più. Sei morto."
Aksel muore nel sonno a soli trentaquattro anni. E all’improvviso, niente è più lo stesso. Tutte le certezze di Carolina crollano in un attimo, e dubbi e sensi di colpa iniziano a farsi strada. Si convince di essere lei ad aver ucciso Aksel, con le sue manie di controllo e le sue continue pressioni, che sia lei la colpevole se Ivan non avrà più un padre.
Riuscirò mai a riempire un vuoto così grande? Come posso ridare un senso alla mia vita? Come farò ad andare avanti da sola? Come crescerà Ivan?
"Chissà se riuscirò a lavorare a tempo pieno, quando riprenderò. Chissà poi quando succederà. Chissà che entrate avrò. Chissà quanto costa crescere un bambino e occuparsi di tutte le spese da sola. Non lo so. Non voglio saperlo. E poi da qui in avanti non userò molto la macchina. Non so oso guidare con Ivan che grida sul sedile posteriore, non senza di te a consolarlo."
Queste e altre domande la tormentano, portandola a ripensare al suo passato dal giorno in cui ha conosciuto Aksel fino alla sua morte improvvisa. Ed è da lì che comincia la narrazione, partendo dalla fine per poi tornare all’inizio, con dei capitoli dedicati alla vita con lui e altri alla vita senza di lui.
Insieme alla voce narrante di Carolina, ripercorriamo la sua storia d’amore con Aksel: i loro litigi e le loro divergenze, i loro viaggi, la loro routine quotidiana, e infine la nascita di Ivan.
Ma Carolina lo sa, deve continuare a vivere nonostante tutto. Lo deve al suo bambino, che ha bisogno di lei. E pensando a lui prova a lottare, con fatica, tra rimorsi e recriminazioni, tra solitudine e dolore, tra smarrimento e angoscia. Ma spesso cade, sentendosi una persona patetica abbandonata dagli amici e dal mondo, disprezzando sé stessa e autocommiserandosi per il suo ruolo di “genitore a metà”.
La protagonista di Speriamo per il meglio scava a fondo nei propri sentimenti e nei pensieri, mettendosi completamente a nudo davanti al lettore. Ciò che colpisce del romanzo di Carolina Setterwall (Mondadori, 2019, trad. A. Stringhetti), è proprio la sincerità di chi racconta; niente filtri, niente cliché, nessun “abbellimento”. Carolina si racconta esponendosi senza riserve al giudizio degli altri, conscia di aver mostrato i suoi lati più bui (le sue paure, il suo odio verso sé stessa, le sue insicurezze, i suoi sensi di colpa, la sua rabbia). Ed è forse proprio questo suo non risparmiarsi a farle fare i conti con sé stessa e con quello che è stato, trovando nella scrittura la sua redenzione.
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