Spero di venire a casa al tempo del vino nuovo
- Autore: Chiara Donà
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
Pietro Donà, 4 diari, 685 lettere e cartoline, 539 scritte di sua mano, 146 indirizzate a lui. È tutto quello che resta dopo cento anni di un ragazzo andato in guerra a 19 e mai tornato. La foto nel cimitero di Sambruson (Venezia) lo raffigura in divisa da artigliere, militare per sempre come al momento della morte, 26 giorni dopo la fine della Prima guerra mondiale. La pronipote Chiara Donà non ha resistito alla curiosità di cercare e ha sentito il dovere di raccontare, in un volume pubblicato dalle Edizioni padovane il Prato e patrocinato dal Comune di Dolo, “Spero di venire a casa al tempo del vino nuovo. Piero Donà da Sambruson alla Grande Guerra. Lettere e diari” (ottobre 2018, 248 pagine, 15 euro).
Chiara è la nipote di un fratello di Piero, Assuero, anche lui arruolato nel 1915-18 e prigioniero in Russia. Si sente molto legata al proprio territorio. Da vent’anni è alla ricerca delle tracce della storia nell’area di Dolo ed è proprio da “ricercatrice della memoria” che in questo volume – il suo primo lavoro - riordina, commenta e puntualizza storicamente gli eventi descritti dal prozio, le emozioni espresse nei manoscritti, che coprono l’intera esperienza militare del Donà.
Partono dalla chiamata che lo precettò nell’artiglieria pesante campale (“presentarsi il 13 giugno 1915 al II Reggimento, a Modena”) e arrivano al momento fatale, il 30 novembre 1918, nell’ospedale da campo dove il sergente Piero Donà spirò, a 23 anni e 3 giorni, per le ferite riportate nell’esplosione di un proiettile di artiglieria che stava mettendo in sicurezza, impegnato col reparto nelle operazioni di bonifica di materiali esplodenti a Cervignano del Friuli.
Fin dal primo momento in cui aveva lasciato Sambruson, scrivere a casa era stato fondamentale (“un soldato senza posta è un uomo morto”, insisteva con ferma convinzione), per lui come per tutti gli altri mobilitati. Nel 1915-18 sono stati scambiati quasi 4 miliardi di lettere e cartoline dal fronte al Paese, dal Paese al fronte e da un punto all’altro del fronte, come la corrispondenza col fratello maggiore Assuero, inquadrato nel Genova Cavalleria.
Scriveva tanto Piero, da recluta, da soldato, da caporale, da caporalmaggiore e poi sergente, anche se con più di qualche scricchiolio grammaticale, sintattico, perfino fonetico nella trascrizione “ad orecchio” dal linguaggio parlato al testo scritto. Chiara riconosce che a volte non è stato facile decrittare i testi del prozio. Vocali e consonanti seguono il fluire ininterrotto delle espressioni verbali, con l’aggiunta di contaminazioni dialettali.
Si guardi il primissimo esempio della lettera dalla caserma modenese dov’era recluta:
cui inmodena siritrova ditutto e di tute le sorte di militari anchi ilcorpodimiofratello Assuero… sono tutto pieno di militari.
I Donà, sommariamente scolarizzati, se non altro scrivevano di pugno, ma nel nostro numerosissimo esercito dell’epoca (5 milioni sotto le armi in tutta la guerra, nelle sole forze di terra) tanti compagni d’arme dovevano affidarsi a commilitoni istruiti oppure ai bravi cappellani, per la scrittura e lettura della posta militare.
La corrispondenza di Piero era di intensità febbrile. Quantità impressionanti. Serviva a tenere vivo il legame con la famiglia, a sentire che non l’avevano dimenticato, a credere nel futuro nonostante la morte costantemente in agguato. Serviva anche a restare quello che principalmente teneva ad essere: un bravo contadino. Nelle sue lettere sono costanti le preoccupazioni per l’andamento dell’economia casalinga, l’ansia per il lavoro nei campi, la nostalgia del vigneto, degli animali. Da lontano palpita per l’andamento delle stagioni, partecipa col pensiero alle fatiche dei familiari, privati delle braccia dei ragazzi arruolati. Nelle poche licenze si impegna a dare una mano il più possibile.
Si dà da fare anche con le ragazze, pur condizionato dalle limitazioni alla libertà femminile, a quei tempi. Una è Angelina, in pratica fidanzata, che fa ospitare in casa a Sambruson. Ma Piero si raffredda con lei, quando la giovane dichiara che vorrebbe andare a servizio. Lo considera al pari di un tradimento. Poi si aggiunge la milanese Rosetta, che come si apprende affronterà la terribile epidemia di febbre spagnola.
Nel fitto epistolario dell’artigliere Donà, poco o niente è dato sapere sugli eventi bellici e sui luoghi, tanto più se legati ad operazioni militari in corso. Per un verso non rientravano negli interessi comunicativi di Piero, per un altro andavano evitati e comunque non sarebbero passati inosservati all’occhio attento e all’inchiostro nero degli incaricati della censura militare, che leggevano la corrispondenza e la sterilizzavano da qualsiasi accendo alle forze, ai numeri e all’organizzazione della “difesa dello Stato”. Restavano la data e la generica indicazione: zona di guerra.
Qualcosa in più si riesce a stabilire dalla lettura dei diari e comunque al di là del suo sentirsi figlio di famiglia, risalta il carattere di un giovane attento a tutte le novità e capace di mantenere buone relazioni coi commilitoni e il mondo che lo circonda.
Mettono tristezza, cento anni dopo, le vicende delle ultime settimane di vita di Piero, riassunte nei paragrafi laconici ma toccanti: “La battaglia di Vittorio Veneto”, “L’armistizio”, “Una morte beffarda”.
Spero di venire a casa al tempo del vino nuovo. Piero Donà da Sambruson alla Grande Guerra
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