Non ho risposte semplici. Il genio del cinema si racconta
- Autore: Stanley Kubrick
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: minimum fax
Stanley Kubrick guidava con in testa un casco da football americano. Si dice in giro fosse anche misantropo, pignolo, iper-cerebrale, ossessivo. Certo è che ne gira(va)no di leggende intorno a Stanley Kubrick. Verso la fine di “Non ho risposte semplici. Il genio del cinema si racconta” (minimum fax) lui minimizza in questo modo:
“Una parte del mio problema è che non posso sfatare le leggende che chissà come si sono accumulate in questi anni. Qualcuno scrive qualcosa di campato in aria su di me, ma il fatto viene archiviato e ripetuto, finché non ci credono tutti”.
Lo stesso discorso vale per la vulgata che, quanto meno sul set, lo voleva tirannico:
“Succede quando gli attori non sono preparati. Non si può recitare senza sapere a memoria le battute. Se gli attori devono pensare alle parole, non possono lavorare sulle emozioni. Così ci si riduce a dover fare trenta riprese di una scena (…) Poi, se l’attore è un tipo simpatico, va a casa e dice: ‘Stanley è un tale perfezionista, fa cento riprese per ogni scena’. E’ così che le mie trenta riprese diventano cento. E io mi guadagno questa reputazione” (pagina 273).
Potremmo andare avanti così ancora per molto. Il compendio di interviste kubrickiane (1959-1987, in pratica da “Orizzonti di gloria” fino a “Full metal Jacket”) raccolte da Gene D. Phillips per "Non ho risposte semplici" la dice lunga del Genio compreso (anche se non sempre. Vedi le polemiche seguite all’uscita di “Arancia meccanica”), declinato per la goduria del lettore in svariate sfaccettature di forma e sostanza: originale, spiazzante, sarcastico, cinefilo senza ombra di dubbio. Ma - per favore -, di nuovo, non affibbiategli l’attributo di concettuale che proprio non lo regge. Leggete, a tal proposito, il botta e risposta con Tim Cahill. L’intervista è apparsa su Rolling Stones:
Non mi farà domande concettose, vero?
Tutti i libri e buona parte degli articoli che ho letto su di lei lo sono.
Sì, ma io no.
Pensavo di dover fare domande del genere
No. Accidenti, no (Kubrick si agita) Questa è… è la cosa che detesto di più
Nella fattispecie Stanley Kubrick è più sincero di quanto ci si aspetti: prima di essere un acutissimo manipolatore di generi, Kubrick è stato, infatti, un regista dotato di "forza" visiva senza eguali, nel senso che la forma lo ha sempre interessato, in fondo, più che la sostanza. Si pensi all’eleganza estetica di certi campi lunghi in “Barry Lindon”, all’impatto immaginifico della famosa “scena del sangue dall’ascensore” in “Shining” (girata in appena 3 riprese, alla faccia delle dicerie). E dovrebbe far riflettere anche il fatto che delle 2 ore e 20 di “2001. Odissea nello spazio”, soltanto 40 minuti sono costituiti da dialoghi. Prima di ogni altra cosa, Stanley Kubrick è stato, insomma, un regista innamorato (ossessionato?) dall’obiettivo della sua macchina da presa. E’ in forza soprattutto di questo fatto che ne individui la cifra stilistica sin dalle prime inquadrature. Attraverso le sue parole - spesso disorientanti, come buona parte dei sui film - “Non ho risposte semplici” ne rievoca l’idea di mondo, sguardo e linguaggio filmico. L’autorialità “congenita” che lo consegna tra le espressioni più alte della cinematografia del Novecento. La prefazione al volume è di Emiliano Monreale.
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