Storia della canzone italiana in cento voci
- Autore: Guido Michelone
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2012
Così cantavano prima della rivoluzione copernicana dei cantautori:
“Vola, colomba bianca vola/ diglielo tu/ che tornerò/ Dille che non sarà più sola/ e che mai più/ la lascerò”.
Oppure
“Mamma solo per te la mia canzone vola/ mamma, sarai con me, tu non sarai più sola!/ Quanto ti voglio bene!/ queste parole d’amore/ che ti sospira il mio cuore/ forse non si usano più/ mamma/ ma la canzone mia più bella sei tu!/ Sei tu la vita/ e per la vita non ti lascio mai più!”.
A che punto siamo con la curva glicemica? E col livello di sospensione di incredulità? Prima dell’ascesa dei cantautori i testi della canzone italiana non stavano né in cielo né in terra (in terra sicuramente no), occupati com’erano a edulcorare la realtà delle cose, a dolcificare le relazioni tra uomini, donne, mamme (una categoria a parte, una fascia protetta), a spargere deamicisianesimo e rime lacrimevoli come se piovesse (miele & dolore, “Profumi e balocchi” style), a millantare amori di patria e amori filial-coniugali, pedagogismo socio-sentimentale e fariseismo di facciata.
La brusca virata, più che nel liberatorio “volare-oh-oh” modugnano (1958), sta nel disincantato “mi sono innamorato di te/ perché non avevo niente da fare” di Luigi Tenco (1962). Da lì in avanti cambiano la musica e i suonatori, con l’acme dei contenuti socio-politici, sopraggiunto nel decennio aureo Settanta-Ottanta, quando i cantautori (e pure qualche band, tolte quelle sulla scia di Pooh e Cugini di campagna) facevano, dicevano, cantavano sul serio cose serie. Antonello Venditti all’epoca aveva un barbone che ti raccomando e il libretto rosso dei pensieri di Mao sotto il cuscino, Francesco Guccini filosofeggiava (in agrodolce) sull’Eskimo “innocente”, come Claudio Lolli sugli “…Zingari felici”. Se non pietre vere e proprie, le parole delle canzoni diventano cronaca & poesia dalla scena degli eventi, ancorate con le unghie e coi denti al qui e ora della realtà. E badate bene che sul piano della resa non ce n’è per nessuno, meno che mai per gli spacciatori di sogni d’oro e piagnucolii a buon mercato. Altro che “fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” e “rose rosse per te ho comprato stasera”, per intenderci: per la gioventù movimentista dei Sessanta/Settanta l’ingresso libero al Mondo Nuovo è lì lì per diventare dato di fatto, e le prove tecniche di rivoluzione transitano - vivaddio - anche dalle parole della musica che gira attorno. Gli asettici/vuoti anni Ottanta e i contingenti Novanta, rigurgiti di cantautorato "storico" esclusi, riequilibreranno il senso delle cose in termini di consuetudine e banalità, con la canzone made in Italy tornata bellamente a stazionare su sponde inessenziali (è tempo di melting pot musicale, di dittature pop, di pausinate, di jovanottate, di tizianoferrate varie e eventuali), canzoncine-ine-ine buone giusto per il canticchio sotto la doccia, con buona pace dei nostalgici del “messaggio”, per il tripudio ebete dei sempiterni spensierati benpensanti. Tempo perso cercare epigoni, la canzone d’autore è morta e sepolta allo scavallare degli anni Settanta, qualche finto-cantautorello ci prova e ci riprova nel suo infinitamente piccolo, ma trattasi soltanto di revenant, le vecchie glorie erano di ben altra stazza, diversa soprattutto la tempra intellettuale.
Con molto - ma mooolto - meno livore del sottoscritto (ecco perché non mi sono mai cimentato in un vero excursus sulla canzone italiana, la prendo troppo a cuore) scrive queste cose anche Guido Michelone in “Storia della canzone italiana in cento voci” (edizioni effequ, 2012), a chiare lettere tra testo e sotto-testo nel corso della sua indagine circostanziata dalla R di “Rock and roll” alla C di “Computer”, transitando, in ordine sparso, per la F di “Folk Revival”, la E di “Edonismo”, la M di “multietnici” e via di questo passo, di voce in voce, di esame (storico) in esame (musicale). Comprese nel testo anche 100-canzoni-100 che fanno leggenda o giù di lì: dalle intramontabili ballate di Guccini e De Andrè alle songs protest all’italiana (“Per i morti di Reggio Emilia”, “Cara moglie”), a quelle - ancora - divise (ahiloro) “tra pop e romanticismo”. Quando si dice non farsi mancare nulla.
Come il precedente “La commedia dei cantautori italiani", questo dizionario di taglio eccentrico potrebbe distrarre dallo zoccolo duro della sostanza, che invece è rivelata/trattata con nitore e altrettanta esaustività.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Storia della canzone italiana in cento voci
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