Storia di Giacinto e altri racconti
- Autore: Angelo Pendola
Conoscevamo Angelo Pendola per la sua lunga attività di poeta militante e di giornalista coraggioso, incisivo, pungente, ma solo da alcuni anni lo stiamo scoprendo, e apprezzando, anche come autore di ben congegnati racconti, come sagace e abile narratore.
In questa veste ha recentemente pubblicato “Storia di Giacinto e altri racconti” (ilmiolibro.it, 2013). Si tratta di narrazioni scritte da qualche tempo e ora edite per evitare che, come altre, andassero irrimediabilmente perdute; si tratta di suggestive e gradevoli storie di vita assai realistiche, vive, in cui l’autore ritrae aspetti e contesti, gesti e comportamenti. Storie anonime ambientate in provincia, lontane dalle luci della ribalta, nelle quali emergono situazioni paradossali e beffarde, falso perbenismo e ipocrisia, ineluttabilità e indifferenza.
Pendola affronta temi delicati, dà rilievo a sentimenti autentici, delinea un profilo psicologico e morale dei personaggi, ma, soprattutto, riesce a suscitare indelebili emozioni, a commuovere, a far riflettere, a captare l’attenzione del lettore, coinvolgendolo, creando in lui aspettative di ciò che avverrà. Più che descrivere, egli “fa sentire”:
- con Giuliano Valenti, il protagonista del primo racconto, “sentiamo” il desiderio di abbandonarci, seppur con tutte le remore del caso, a un amore apparentemente improbabile;
- con Peppuccio “sentiamo” l’oppressiva ansia di genitori e la tragica impotenza nei confronti delle malefatte dei nostri figli;
- con Serafino “sentiamo” lo strazio, crescente come in un finale rossiniano, generato dall’impossibilità di essere capiti dalla gente, arrogante insensibile, che quasi ci assedia e ci bracca;
- con Sergio, infine, “sentiamo” le paradossali conseguenze della voglia di trasgredire.
Dai racconti, tra le altre cose, emerge un atteggiamento misto di simpatia e di pietà dell’autore verso la “gente di nessuno”, verso gli appartenenti alle classi subalterne, verso i non egemoni per definizione, assai vicini, per mentalità e situazioni, ai “vinti” verghiani: antieroi che vivono nella rassegnazione, che non sanno reagire di fronte alle sventure della vita, che accettano passivamente angherie e prevaricazioni, e che sono destinati inevitabilmente a finire sconfitti.
Il libro, formato tascabile, novantasei pagine in tutto, si legge agevolmente tutto d’un fiato per la facilità di scrittura, per il linguaggio immediato, essenziale, secco, spoglio d’accorgimenti artificiosi, d’orpelli e di quelle eleganti ricercatezze proprie di una frivola ostentazione. Abile l’uso dell’ironia, tropo talvolta evidente e, di tanto in tanto, serpeggiante tra le pieghe del discorso. Quella di Pendola, però, non è una sintassi che si snoda tra simboli e parole chiave, tra messaggi reconditi e allegorie. La sua, in effetti, è una prosa controllata, coerente, frutto di uno stile chiaro e misurato, che si esplica anche nella scelta di termini accuratamente precisi ed adeguati dal punto di vista della proprietà lessicale. Se lo stile è l’uomo, come scrisse Georges-Louis Leclerc de Buffon, poche volte, come in questo caso, esso rispecchia veramente la natura dell’autore, genuina e irreprensibile, rispecchia la personalità di un galantuomo d’altri tempi qual è Angelo Pendola.
Sintetica, ma molto efficace ed esaustiva, la postfazione firmata da Iana Fauci Guardino. La copertina, sobria e lineare, quasi a riverberare la semplicità dei contenuti e dello stile, è illustrata dal pittore Mimmo Conte.
STORIA DI GIACINTO E ALTRI RACCONTI
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