Storie sterrate. Musicisti/scrittori, scrittori/musicisti
- Autore: Marco Denti
“Chiamo canzone tutto quello che posso cantare. Chiamo poesia tutto quello che non posso cantare. Chiamo romanzo tutto quello che non posso cantare o che come poesia è troppo lungo”. (Bob Dylan, pag. 130)
Giriamola come vogliamo, la sostanza è la stessa: cantata-poetata-romanzata, sempre di Parola si tratta. Mi stupisco che ancora qualcuno si stupisca: nelle sue accezioni più nobili la canzone è una faccia ennesima dell’esprimersi con parole. Più ancora che di contenuto si tratta di semantica, di differenza formale di tratto. Così non fosse non potrebbero spiegarsi gli sconfinamenti tra i generi di numerose rock-star. E di song-writer. E di poeti e romanzieri a loro volta, anche se in misura minore.
Così non fosse nemmeno a Marco Denti – parimenti impegnato sui fronti della pubblicistica letteraria e musicale – sarebbe venuto in mente di scrivere un saggio come Storie sterrate (Jimenez, 2021), a partire dal sottotitolo collocabile sul crinale biunivoco che ingloba e divide (solo provvisoriamente) “musicisti/scrittori” e “scrittori/musicisti”. Un’andata/ritorno mediatica. Un filo rosso e doppio che si reitera ogni qual volta la canzone si sgrava dall’effimera inconsistenza pop e il romanzo, al contrario, dell’elitaria ridondanza della bella scrittura. L’obbiettivo artistico è comunque assimilabile: cimentarsi col racconto.
Prima ancora di essere il plumbeo chansonnier che è stato, Leonard Cohen era poeta ed era scrittore. Così come Bob Dylan, un cantautore (avremmo detto dalle nostre parti) prima di essere poeta e scrittore. E nemmeno Jim Morrison con molta probabilità sarebbe mai stato Re Lucertola senza l’imprinting delle sceneggiature e delle prose-poesie di scaturigine (ultra)beat.
“Jim Morrison è stato un poeta risucchiato nel turbine del rock’n’roll ed è stato evidente quando ormai privato di ogni forza, sul finire degli ultimi giorni dei Doors, si è dedicato ossessivamente alla poesia”. (pag. 31).
Mi ha detto una volta Roberto Vecchioni, in merito al suo primo cimentarsi come romanziere: ho voluto misurarmi con una forma letteraria che mi consentisse maggiore libertà di espressione rispetto alla metrica imposta dalla canzone. Ciò dimostra che, nei casi migliori, succede così anche dalle nostre parti. Come scrive Marco Denti, qui attestato in esclusiva sulle espressioni rock/letterarie di stampo anglo-americano:
“C’è chi ha scritto un libro e chi poteva evitarlo, chi ha raccontato la sua autobiografia e insieme tutta un’era, chi dettando il proprio memoir ha smantellato un’intera carriera, chi ha varcato il confine tra l’autobiografia e il romanzo, chi ha declamato poesie ed è passato alla musica perché rendeva di più, chi ha cominciato scrivendo canzoni e poi è passato ai romanzi, chi ha scritto e cantato senza interruzioni, chi ha alternato versi per le poesie e per il rock’n’roll, chi si è ritrovato nella poesia e si è perso nella vita, chi avrebbe potuto scrivere un tomo dopo l’altro e invece non l’ha mai fatto, ma nelle sue canzoni ci sono più storie che in un’intera bibliografia, chi l’ha fatto per una causa, chi l’ha fatto senza motivo, chi per tornare indietro nel tempo o per andare avanti. È la ricerca di una forma di espressione o un modo di venire a patti con i propri demoni, quando la musica, che di sicuro è più immediata, non è più sufficiente”. (pagg. 11-12)
Storie sterrate tiene conto di questo novero (cospicuo) di declinazioni. In forza di ciò si offre alla lettura come volume generoso (oltre 300 fitte pagine brossurate), diagonale a generi, rimandi, mostri sacri del folk-rock, letterature, suggestioni/dannazioni, canzoni/poesie, storie, biografie, a comprova dell’humus frammisto, del fertile e possibile interscambio tra gli ambiti della canzone e della narrativa. Parafrasando una favoletta di un qualche successo: in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio. Poi furono chitarra-basso-batteria.
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