Streghe. Le eroine dello scandalo
- Autore: Ilaria Simeone
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2019
I supplizi e i roghi delle streghe: femminicidi commessi dalla collettività ai danni di povere donne. È così che li considera Ilaria Simeone e la sua interpretazione ci sta tutta. A quella lunga stagione di terrore, la giornalista napoletana trapiantata a Milano, con studi in filosofia, ha dedicato un libro breve, ma intenso, sviluppato con un periodare elegantemente arcaico, Streghe. Le eroine dello scandalo, pubblicato a fine estate 2019 nella Piccola Biblioteca Neri Pozza (192 pagine, 13 euro).
Tre vicende e tante donne, Caterina, Toldina, più le sventurate di Triora, nella Podesteria della Repubblica di Genova. Rappresentano per l’autrice un’unica storia,
quella di un sospetto che esce dalla pubblica voce, cresce con il panico sociale e prende la via giudiziaria: è l’autorità di tribunali, giudici e inquisitori ad alimentare i roghi nel secolo della rivoluzione scientifica.
Ilaria ha studiato gli atti dei processi, redatti a mano. Risale a fine 1500 quello in Liguria, di inaudita ferocia persecutoria, tre anni di procedimento che finiscono per distruggere un’intera comunità. Trentacinque donne (e un uomo) arrestate, torturate, condannate al carcere preventivo. Dieci perirono per le torture e la prigione, sedici vennero liberate, delle altre non c’è notizia. Gli inquisitori volevano estirpare la mala pianta stregonesca dal territorio genovese. E dire che fino ad allora, in Riviera, le “bagiue” erano considerate una presenza domestica e tollerate, a condizione che fossero del posto.
Il processo a Caterina de Medici, nel Ducato di Milano e Mantova, è citato da Manzoni ne “I promessi sposi”. Cominciò nel 1616. L’accusa era di aver gettato il malocchio sul senatore Luigi Melzi, notabile di una delle famiglie milanesi più in vista. L’esito fu l’impiccagione-rogo della strega. Aveva confessato. Ammissione di colpevolezza estorta sotto i “tormenti” e alla quale oggi possiamo negare qualsiasi valore giuridico.
È inedita, invece, la vicenda giudiziaria di Maria Bartoletti Toldini, detta la Toldina. Ci si sposta cento anni avanti nel tempo e a Brentonico, nel Trentino. Accusa: stregoneria. Processata nel foro penale laico, venne condannata al rogo. Trecento anni dopo, nel 2015, il Comune trentino ha chiesto la riapertura del procedimento.
Le vicende narrate sono quindi realmente accadute. Caterina, Toldina e le altre sono “eroine dello scandalo”, dal significato greco del termine skandalon: insidia, ostacolo, inciampo. “C’è un’inaspettata bellezza negli interrogatori, nelle deposizioni, nelle lettere, nei documenti ufficiali”, sostiene l’autrice.
Non ho inventato nulla: non le fisionomie dei protagonisti, né il loro carattere, né i loro legami sociali e affettivi. Ho usato lamenti e imprecazioni per ricostruire un’intimità minima. Volevo che quelle voci forti, moleste, scandalose, si riappropriassero della loro bellezza.
Odiavano le streghe per il commercio del sesso che si diceva facessero col demonio. Ma quale attrattiva sessuale poteva mai avere la sessantenne Toldina. Coetanea anche Isotta Stella, la prima “caduta”, a Triora. Doveva mostrare una sensualità sfiorita anche Caterina, avanti negli anni, ultraquarantenne. Erano povere donne, non certo le affascinanti sorelle Halliwell, streghe glamour dell’omonima serie televisiva, tuttora in programmazione sui canali digitali e via satellite.
Povere streghe, non solo nel senso compassionevole, ma proprio perchè appartenenti alla componente meno abbiente e più debole delle comunità, ignoranti o, peggio, dotate appena di qualche conoscenza pratica contadina sull’uso di erbe e prodotti naturali. E questo attirava i sospetti.
La presenza tra loro di autentiche fattucchiere si conta in percentuale ridotta, perché gran parte delle vittime della caccia alle streghe, oltre che indigenti, erano malate, disabili e comunque quasi sempre sole. Il pregiudizio sessuale che si accompagnava alla persecuzione considerava ambigua la donna che viveva sola. Potenzialmente colpevole e quindi “serva del demonio”, chi fosse senza marito e magari non dimostrasse un particolare zelo religioso.
Essere posseduta aveva poi un chiaro significato di natura sessuale. Strega era di fatto sinonimo di donna, tanto più che nel Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe), il celebre trattato sulla stregoneria, i due inquisitori domenicani estensori avevano ammesso l’esistenza di stregoni maschi, ma tali solo in quanto indottrinati da streghe. Maleficae erano le malvagie, al femminile, una chiara allusione alla perversione insita nel genere “non si dice tuttora tra la gente semplice, sia pure spiritosamente, la donna è putana?”). I sabba erano congiunzioni carnali col diavolo, attraverso il sesso si davano a Satana diventando strumenti a disposizione dei suoi scopi maligni. Era quella la convinzione della Chiesa, degli accusatori e dei tribunali.
La misoginia trasuda da ogni atto degli inquisitori. È un altro esempio della “banalità del male”: nel processo alla Toldina, la giustizia è colpevolmente annoiata. Quella donna non aveva nulla, figli, beni, una casa, tanto meno nemici potenti e neanche una comunità interessata a lei. Non l’amava nessuno, ma nessuno l’odiava. Non si è salvata ugualmente.
Streghe. Le eroine dello scandalo
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