Si parla molto di “scrittura femminile” di questi tempi, sull’argomento si sta attuando una sorta di demistificazione: sino a pochi decenni fa l’aggettivo “femminile” veniva usato in senso denigratorio, e forse - almeno a giudicare da recenti articoli di pseudo critica letteraria - lo è ancora. La nuova ondata di femminismo portata dai recenti fenomeni di cronaca - tra cui la drammatica sequela di femminicidi - ha rimesso il femminile al centro ribadendo l’urgenza di una ricanonizzazzione o forse, addirittura, di un necessario superamento dei generi.
Oggi il mondo editoriale è retto dalle lettrici - che di numero superano di gran lunga i lettori uomini - e ne consegue una risemantizzazione del canone letterario.
C’è stato un tempo, non molto lontano, in cui lettura e scrittura erano appannaggio esclusivo degli uomini: le donne erano analfabete, oppure relegate ad altri ruoli, perlopiù domestici. Probabilmente c’è ancora chi auspica un ritorno a quel passato neanche troppo remoto, eppure per fortuna le donne scrivono e vengono lette e la cosiddetta “scrittura femminile” non può più essere considerata come un genere a sé stante o una sotto costola della letteratura, ma è complessa e sfaccettata al pari di quella maschile.
Cosa sta accadendo? Un mutamento culturale innanzitutto: ora le donne non sono più silenziate né relegate in secondo piano, come è accaduto per secoli. Le donne oggi sono colte, consapevoli, leggono e vengono lette, non hanno paura di esporsi né di affermare idee contrarie alla morale corrente. Questo può provocare in alcuni una certa buona dose di frustrazione che, di fatto, riflette una panoramica sociale più complessa: ci interroghiamo tanto sui femminicidi che invadono le nostre cronache, senza comprendere che il problema all’origine è lo stesso. La stessa dinamica di frustrazione si riflette nella critica letteraria, nell’ottusità con cui ancora si guarda alla donna scrittrice. Il femminicidio in quanto tale nasce dall’incapacità di accettare l’affermazione femminile, l’indipendenza della donna sul piano professionale così come su quello relazionale; la dinamica che genera il delitto si fonda su una frustrazione - neanche troppo latente - del maschile. Questo mutamento della posizione della donna nella società si riflette anche sul piano editoriale: le donne scrittrici sono lette, amate, apprezzate, sono loro le autrici dei nuovi bestseller, scalzando un primato che - sino a non troppo tempo fa - era stato soprattutto maschile. Dire “scrittura femminile” oggi non è più un insulto né una diminutio, ma forse la vera sfida sarebbe riuscire a giudicare la scrittura in quanto tale, indipendentemente dal genere.
Per arrivare a questo, chiamiamolo “traguardo” ma è soltanto una tappa nel percorso, è stato necessario un lungo lavoro, scopriamo come si è sviluppata la scrittura femminile nel tempo. Analizziamo più a fondo la questione a partire dall’ingresso delle donne nel canone letterario, sino al recente Nobel ad Annie Ernaux.
La scrittura femminile: da Aphra Behn alla sorella di Shakespeare
L’idea della donna intellettuale, della donna scrittrice in particolare, ha faticato ad affermarsi, come testimonia la stessa Virginia Woolf in quel saggio pioniere del femminismo moderno che è Una stanza tutta per sé (1929) nel quale rivendicava l’ammissione delle donne a una cultura ritenuta esclusivo appannaggio maschile. Fu proprio Woolf la prima a parlare di Aphra Behn, riconosciuta come la prima donna inglese a scrivere per denaro, da Woolf definita una “scrittrice professionista”; ma che ebbe una vita molto infelice e fu presto condannata all’oblio dai suoi stessi contemporanei.
Tra le righe del suo saggio Virginia Woolf poneva un’accusa neanche troppo latente: le donne sono state silenziate per secoli, escluse dai luoghi della cultura, ridotte a una dimensione inferiore. Con Una stanza tutta per sé Woolf tentò per prima di decostruire il linguaggio patriarcale imperante, rivendicando la necessità di una prospettiva femminile.
Per sostenere la sua tesi la scrittrice inventò Judith, la sorella di Shakespeare, dotata dello stesso talento del fratello ma che non ebbe la possibilità di svilupparlo né di realizzarsi. Judith, racconta Woolf, era infatti costretta a bruciare ciò che scriveva, oppure a ritagliarsi a fatica il tempo per leggere in mezzo alle altre mille occupazioni quotidiane. Non le era concesso “fantasticare tra i libri”, poiché da lei ci si aspettava lo svolgimento di incombenze più pratiche, quali cucinare lo stufato o rammendare le calze. Tramite la storia di Judith, che si conclude in maniera tragica, Woolf rivendicava il diritto delle donne alla libertà, affermando che Shakespeare era stato libero di potersi esprimere e di coltivare il proprio talento, mentre sua sorella - vissuta nella stessa epoca, ugualmente dotata del sacro fuoco dell’ispirazione - no.
Da qui Virginia, nel lontano 1928, giungeva alla sua illuminante conclusione:
A woman must have money and a room of her own, if she is to write fiction.
Una donna deve avere denaro e “una stanza tutta per sé” per poter scrivere. Ma, attenzione, nell’originale inglese Woolf scrive una parolina che non passa inosservata: “write fiction”. Dunque sta parlando di romanzi, letteratura amena, di storie di finzione. Alle donne non era concesso scrivere fiction, non potevano esercitare liberamente la loro creatività letteraria. Per questo motivo, nel rivendicare la possibilità delle donne di entrare a far parte della schiera intellettuale e letteraria, Woolf è debitrice alla prima scrittrice professionista, Aphra Behn, e rimarca il debito chiamando a raccolta tutte le donne:
Tutte le donne insieme dovrebbero cospargere di fiori la tomba di Aphra Behn.
C’è chi identifica l’origine della scrittura femminile nella poetessa greca Saffo, chi ancora in Christine de Pizan, vissuta nella Venezia di fine Trecento, di certo la schiera di donne scrittrici del passato è vastissima: ma dal punto di vista letterario è interessante ricordare Aphra Behn, proprio perché inscindibile dal saggio di Woolf, e a cui viene affidato un ruolo importante. Woolf poneva Aphra Behn, insieme all’ignota sorella di Shakespeare, al principio di una discendenza: l’idea di scrittura femminile nasceva da lì, da una donna coraggiosa che aveva combattuto, con tutte le proprie forze, per fare della scrittura una professione in barba a una società misogina e, infine, era stata condannata a un oblio precoce da un mondo incapace di accettarla.
La scrittura femminile e le scrittrici-scrittori
A lungo le maggiori scrittrici italiane - tra cui ricordiamo Elsa Morante e Natalia Ginzburg, ma anche in tempi più recenti Oriana Fallaci - si sono definite “scrittore” (Fallaci l’ha fatto incidere pure sulla propria tomba) per difendersi da una svalutazione della propria opera.
Nel Novecento infatti il termine “scrittrice” veniva ancora accostato al romance e non alla letteratura seria, la cosiddetta letteratura impegnata - purtroppo accade ancora oggi, per fortuna in misura minore. Va da sé che per tutelare il proprio lavoro da pregiudizi e interpretazioni superficiali le scrittrici si sono trovate a definirsi “scrittori”, addirittura a firmarsi con pseudonimi maschili o a camuffarsi dietro l’iniziale del nome - pensiamo ad Alba de Céspedes che nei suoi esordi si firmava con A. puntato per non rivelare di essere donna. Per tutto il Novecento c’era una certa ritrosia nel definirsi “scrittrici” e, in parte, sorprende che Morante e Ginzburg - le signore della nostra scrittura - non fossero femministe e, addirittura, prendessero le distanze dai movimenti femministi nascenti. Una donna per avere potere - lo dimostra tra tutte l’antifemminista Matilde Serao - doveva essere pari a un uomo, definirsi “scrittore”, rinnegare il proprio sesso.
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Questa scrittura femminile camuffata trova un interessante precedente nelle sorelle Brontë, Charlotte, Emily ed Anne che esordirono con un libro di poesie, Poems, firmato con gli pseudonimi maschili di Currer, Ellis e Acton Bell. Il fantastico trio della letteratura inglese non avrebbe mai trovato un editore se avesse rivelato la propria vera identità.
Non furono certo le uniche a utilizzare questo stratagemma, ricordiamo George Eliot, pseudonimo della scrittrice Mary Ann Evans che decise di rivelare la propria identità dopo il successo ma, in seguito allo scandalo che ne conseguì, tornò a firmarsi con un nome maschile. Un altro caso celebre è quello di Louisa May Alcott che firmò i propri primi racconti come A.M. Barnard.
Di certo fa riflettere lo stupore con cui l’Inghilterra vittoriana accolse il fatto che l’autore di Jane Eyre fosse in realtà una donna: proprio in quel libro che presentava una protagonista straordinariamente moderna - e nella sua autrice - possiamo individuare un inizio di emancipazione femminile nella storia della letteratura.
Le sorelle Brontë aprirono la strada, ma il cammino doveva essere ancora lungo, persino nella lungimirante Inghilterra. Basti pensare a J. K. Rowling, autrice della celeberrima saga di Harry Potter, cui fu caldamente consigliato dall’editore Bloomsbury di non firmarsi con il proprio vero nome, Joanne, ma di mantenere l’ambiguità delle iniziali puntate J.K. perché i libri avrebbero venduto più copie.
Il primo libro della saga del maghetto fu pubblicato nel 1997: a quanto pare il mondo letterario non era ancora pronto ad accogliere il successo di una donna scrittrice.
La scrittura femminile oggi: un’analisi
La critica letteraria si è a lungo interrogata sull’esistenza della cosiddetta
“scrittura femminile”, differente per scelte stilistiche e contenuti da quella maschile. Questa analisi non può prescindere dal fatto che, per la maggior parte della storia, le donne siano state raccontate dagli uomini, divenendo di fatto non “soggetto” ma “oggetto di rappresentazione”. Tutta la nostra letteratura delle origini, pensiamo a Dante, Petrarca e Boccaccio, è infarcita di figure femminili angelicate o, al contrario, corrotte. La donna ha faticato a svicolarsi da quella rigida intepretazione duale angelo/demone, per potersi emancipare del tutto ha dovuto prendere in mano la penna e scrivere di proprio pugno. L’ingresso delle donne, come scrittrici e autrici, nel mondo letterario è ancora recente e questo ha creato non poco scompiglio nel dibattito culturale. Lo crea tuttora.
Si è discusso a lungo se associare o meno l’aggettivo “femminile” alla scrittura delle donne; veniva intepretato in maniera denigratoria o svilente. La cosiddetta scrittura femminile nel Novecento indicava un genere preciso: la letteratura rosa, quindi il romance. La faccenda, naturalmente, è più complessa, ma è innegabile che esista una differenza tra scrittura maschile e femminile: la sottigliezza è che ciò non ha che vedere con lo stile, ma con lo sguardo.
La scrittrice e drammaturga francese Hélène Cixous parlava nello specifico di “inchiostro bianco”:
Le donne scrivono con l’inchiostro bianco, cioè con la memoria del latte materno che scorre dentro di loro.
Nel suo saggio Il riso della Medusa, in cui rileggeva il freudiano La testa della medusa decostruendone il mito, Cixous invitava le donne a scrivere senza più nascondersi. La “donna scrittrice” riviveva nell’immagine della Medusa che non era orrorifica, ma sovversiva.
Bisogna che la donna scriva se stessa: che la donna scriva della donna e che avvicini le donne alla scrittura, da cui sono state allontanate con la stessa violenza con la quale sono state allontanate dal loro corpo; per gli stessi motivi, dalla stessa legge e con lo stesso scopo mortale. La donna deve mettersi nel testo – come nel mondo e nella storia – di sua iniziativa.
L’equazione “donna che scrive a donna” oggi è superata. Le scrittrici - al di là dei pregiudizi ancora vigenti - sono lette anche dagli uomini, non parlano soltanto al loro sesso, questo è il grande traguardo. Cixous si riferiva soprattutto al fatto che, quando una donna scrive, presenta esperienze di riferimento diverse da quelle di un uomo. Da questa concezione deriva l’urgenza critica attuale di definire a tutti i costi la scrittura femminile e lo sguardo femminile sul mondo.
In tempi recenti una domanda analoga sulla cosiddetta scrittura femminile è stata rivolta al Premio Nobel, Annie Ernaux, che ha dato una risposta interessante a riguardo:
Sì, penso che esista questa differenza di sguardo, non necessariamente antagonista, ma la differenza c’è. C’è una dominazione maschile nella società. Ad esempio, il tema della sessualità non può essere affrontato nell’identica maniera da un uomo e da una donna. Non vedo nel mondo di oggi l’evoluzione femminista sperata negli anni ’70.
La stessa Ernaux negli anni Novanta, in seguito alla pubblicazione di Passione semplice (1991), fu vittima di una campagna di denigrazione mediatica e bersaglio di accuse da parte dei giornali: destava scalpore che una donna, inoltre già scrittrice affermata, narrasse in certi termini la propria vita amorosa. La capacità delle donne di dire Io, di affermare la propria visione, soprattutto nel rapporto con l’uomo, era ancora ritenuta un tabù.
La certezza è che la scrittura delle donne oggi è ancora intepretata come “nuova”, non ha alle spalle abbastanza storia letteraria dunque sfugge ai riferimenti e alle canonizzazioni, ai disperati tentativi di incasellarla in un genere. Quando si tenta una simile operazione - come ridurre la scrittura femminile al romance - si incorre in un errore o in una trappola. I libri scritti da donne non sono tutti uguali e le autrici di successo non sono unite da nessuna presunta “sorellanza”, malgrado nei loro confronti sia stata attuata una sorta di moderna “caccia alle streghe”.
Le donne che scrivono rappresentano una pluralità di sguardi, di opinioni, di sentimenti e giudizi che vanno oltre il genere e rispecchiano una visione sociale, tanto individuale quanto collettiva. Possiamo parlare di scrittura femminile con orgoglio, perché la strada che ha condotto le donne alla scrittura è stata lunga, accidentata, difficile; come ricordato da Virginia Woolf, dovremmo portare dei fiori sulla tomba di Aphra Behn.
Il dibattito sulla “scrittura femminile” oggi è più vivo e attuale che mai, e questo è senz’altro un bene perché significa che finalmente ne viene certificata l’esistenza, che le donne che scrivono fanno rumore e l’inchiostro bianco non è più invisibile né tantomeno passa inosservato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sulla scrittura femminile: perché è importante parlare dei libri scritti dalle donne
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