T
- Autore: Chetna Maroo
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2024
Le citiamo in ordine decrescente di età: Mona, Khush e Gopi. Sono sorelle e hanno rispettivamente quindici, tredici e undici anni. Hanno perduto la madre, per questo zia Ranjan, tra le ciotole e i piatti d’argento del pranzo, dice al padre che vuole tenerne una con sé per insegnarle i costumi familiari tradizionali.
Una sola, perché tre sarebbero troppe. Così racconta Gopi, voce narrante del romanzo T, pubblicato da Adelphi (pagine 150, euro 18) e scritto da Chetna Maroo, finalista al Booker Prize, che si presenta con le carte in regola per entrare presto nel novero delle migliori narratrici angloindiane che ormai da anni costituisce uno dei pianeti letterari più interessanti del mondo.
Solo che Chetna Maroo, a differenza delle sue colleghe di letteratura, ritaglia uno spazio neutro, cioè non tipizzato come spazio indiano né occidentale. In tal senso la Maroo marca in questo libro la propria singolarità rispetto a scrittrici angloindiane, come ad esempio Anita Desai che, pur avendo familiarizzato con la cultura occidentale, disegnano figure e situazioni che appartengono all’India. Su questo può aver influito sia il fatto che il romanzo si svolge fuori dalla geografia indiana, sia il fatto che quasi tutto ruota intorno a una protagonista e a uno sport non etichettabili geograficamente.
Il padre non affida nessuna delle figlie a zia Ranjan. Seduto su una panchina fuori da un campo di squash, dichiara alle tre ragazze:
Vorrei che vi appassionaste a qualcosa che potrete fare tutta la vita.
Proprio lo squash, sport che lui conosce bene e che richiede costanza, forza e determinazione, è ciò che il padre vuole far imparare alle tre ragazze. Lui le osserva, le istruisce, le sprona, racconta loro della dinastia dei Khan o di Geoff Hunt, campioni che hanno fatto miracoli sul fondocampo o sulla “T” del campo di squash. Sarà Gopi, nel rettangolo del campo sportivo e fuori, a mostrarsi capace più delle sorelle di misurarsi con le asperità del gioco, dell’esistenza quotidiana e della memoria per diventare sempre più forte e trovare la propria autentica voce.
La accompagnano le tracce della madre sparse tra gli oggetti della vita di ogni giorno. A volte la memoria agisce di rimbalzo, come nel brano seguente, dove è il volto del padre mentre ricorda ad accendere i ricordi della figlia, richiamando alla mente di lei quelle “cose insignificanti” in cui si anfratta tutto il passato che si divide con una persona cara:
Mi girai verso papà e quello che stavo per dire mi morì sulle labbra. Lui fissava la poltrona di mamma. Non con lo sguardo perso, ma con un’espressione calma. Il livido scuro della mascella era come un buco in mezzo alla faccia.
“Papà”, dissi.
Lui continuò a fissare la poltrona di mamma.
Gli avevo chiesto se si ricordava di lei e provai di nuovo a immaginarla, ma mi tornavano in mente solo cose insignificanti. La sua statura. Le sue braccia sui braccioli della poltrona, piegate all’altezza dei gomiti. La polvere che anneriva le piante dei piedi.
Così la Maroo coglie il nodo essenziale che si rivela in più luoghi del romanzo: dell’intera vita che abbiamo trascorso con una persona che abbiamo amato e che non c’è più ci restano misteriosamente solo pochi segni nella memoria, e non quelli che una volta ci erano sembrati più importanti.
Così è per tutti i mortali, non soltanto per Gopi che per la sua età giovanissima può custodire solamente pochi ricordi. Chetna Maroo ha il merito di aver osservato l’esile eppure potente filo della memoria a occhi asciutti, senza mai farne, neanche per un momento, oggetto di ricatto emotivo o di sentimentalismo. A questo riguardo, è esemplare lo scambio di battute sfumato e allusivo tra la protagonista e suo padre:
“Non riesci a smettere papà?” bisbigliavo.
Pensavo non mi sentisse.
Probabilmente volevo chiedergli di smettere di ricordare, di tornare a Western Lane e parlare con la madre di Ged sulla balconata o dove voleva, se tutto potesse essere di nuovo come prima.
Una sera fissò la poltrona di mamma e disse: “Non ci riesco”.
Non sapevo se stesse parlando con me o con mamma.
Il lettore segue Gopi negli allenamenti fatti di risalite e conquiste, guadagnando, pagina dopo pagina, la consapevolezza che qui lo squash non è un gioco al quale si affianca il resto della vita, ma piuttosto una rappresentazione della vita stessa narrata con una prosa immediata eppure già matura. O almeno della vita come dovrebbe essere, un movimento che può portarti sempre più in alto se la mano ferma e i colpi decisivi in campo sono sostenuti dal cuore.
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