Tappe della disfatta
- Autore: Fritz Weber
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
Nella storiografia patriottica del nostro paese, l’austriaco è descritto come il nemico giurato del popolo italiano. Anche nel testo del Canto degli italiani (1847) di Goffredo Mameli (1827-1849), riconosciuto come inno nazionale ufficiale nel 2017, è contenuto un attacco (oggi completamente anacronistico) all’Impero Asburgico: "Già l’Aquila d’Austria/ Le penne ha perdute/ Il sangue d’Italia/ E il sangue Polacco/ Bevè col Cosacco/ Ma il cor le bruciò".
Nella memorialistica risorgimentale e in quella dei soldati della Grande Guerra, dell’Austria è offerta prevalentemente un’immagine molto negativa; per vedere la Prima Guerra Mondiale “dall’altra parte del fronte”, però, può essere raccomandata la lettura di un classico: Tappe della disfatta (1933), ovvero la testimonianza dell’ufficiale austriaco Fritz Weber (1895-1972), che dopo cinque anni di scuola militare, nel maggio 1915, fu arruolato come alfiere del sesto battaglione d’artiglieria e destinato al Forte Verle, sul fronte italiano.
La traduzione italiana del libro è stata pubblicata da Mursia nel 1965, il volume riporta una prefazione a firma dello scrittore Aldo Valori (1882-1965) che definì l’opera:
"Un’ottima occasione per riandare, con l’animo ormai sgombro da ogni preconcetta ostilità, alle vicende della Prima Guerra Mondiale, a quella che per lungo tempo venne chiamata la Grande Guerra, ma che per noi italiani ebbe quasi soltanto la fisionomia di guerra italo-austriaca".
Weber riesce a trasmettere tutta l’atrocità della guerra di posizione e ci fa comprendere quanto siano stati grandi i sacrifici dei soldati.
Ogni abitante dell’Altopiano dei Sette Comuni dovrebbe conoscere Tappe della disfatta, i passaggi che descrivono le tante ferite inferte a quella terra sono indimenticabili:
"Quando ricevo l’ordine di recarmi a Roana, sulla sponda destra dell’Assa, mando avanti un sergente per non arrivare in quel villaggio devastato, senza avere prima avuto qualche informazione rassicurante. Il sottufficiale torna indietro soltanto il mattino seguente e mi dice che gli era stato proibito di lasciare il paese dopo il calar del sole, e a ragione: infatti tutte le volte che il nemico nota qualche movimento tra le case diroccate di Roana, comincia a bombardare. […] In una notte molto buia, a gruppi di due o tre, strisciamo per le vie di Roana, tra i giganteschi cumuli di macerie".
In quei mesi, i Sette Comuni parevano essere l’ultimo ostacolo che impediva agli austriaci di dilagare in pianura per occupare il Veneto intero. Tra le pagine che lasciano il segno ci sono quelle in cui i combattenti cercano un po’ di normalità tra le privazioni e le sofferenze del conflitto, e l’Altopiano fa da sfondo ad alcune delle scene più toccanti della quotidianità dei militari:
"Insieme con l’aspirante Wroblewski, trascorro due settimane nella cantina di Roana. Non abbiamo assolutamente nulla da fare e possiamo, quindi, raccontarci, almeno dieci volte, la nostra vita e quella delle nostre famiglie per poi iniziare quella dei rispettivi bisnonni. Le provviste di petrolio sono così scarse che siamo costretti a tener accesa la lucerna solo quattro ore al giorno, durante le quali io leggo e il mio collega lavora a migliorare l’arredamento del locale. Quando le quattro ore sono trascorse, egli spegne la lampada e incomincia a chiacchierare. Nella cantina di Roana faccio conoscenza con almeno metà della popolazione di Cracovia".
Bastano già queste parole a ricordarci come l’esercito austriaco fosse composto da uomini appartenenti a popoli diversi per lingua e costumi, e questo è un altro aspetto su cui Weber si sofferma in maniera particolare:
"Il battaglione è formato da tedeschi, ungheresi, romeni. I sassoni [di Transilvania] parlano un tedesco difficilmente comprensibile; e le loro bestemmie sono prese quasi esclusivamente a prestito dalle due altre lingue parlate, l’ungherese e il romeno".
La Prima Guerra Mondiale riunì in un’unica alleanza tutti i popoli di lingua tedesca, ma segnò anche la fine dell’impero multiculturale della casa d’Austria. Le tensioni nazionaliste erano cresciute già nel secolo precedente e, con l’approssimarsi della sconfitta, esplosero sino a dividere lo stesso esercito:
"I bosniaci fanno la guardia ai disertori, alle grosse masse di disertori, che, presso i ponti della Livenza, attendono di essere abbastanza numerosi per sopraffare gli ultimi difensori del vacillante Impero. Compagni contro compagni, austriaci contro austriaci, ieri ancora commilitoni, oggi nemici mortali! O, forse, l’Austria non esiste più e non ce l’hanno detto?"
La previsione era corretta: quel mondo sarebbe scomparso, ma nella voce di Fritz Weber, che ha il pregio di non mancare mai di correttezza, vivrà per sempre la dignità di quell’ultima battaglia.
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