Tempo d’opera
- Autore: Alberto Toni
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2022
Questo è un libro postumo e importante per la poesia italiana: si pensi solo che l’ha curato e prefato Roberto Deidier. L’aspetto che salta subito all’occhio in questa ottima raccolta poetica di Alberto Toni è la conoscenza dell’arte contemporanea. Vengono citati, non a caso, diversi pittori.
Allo stesso modo c’è un felice connubio tra astratto e figurativo in questa poesia. Toni è allo stesso tempo un artista concettuale e un acuto descrittore di stati d’animo e cose. Questa impostazione di fondo nel modo di approcciare la realtà è a mio modesto avviso unica nel panorama letterario italiano contemporaneo. Ma questo soltanto a una prima lettura. C’è molto di più. Il poeta infatti è tanto bravo quanto complesso, sfaccettato, articolato. Sono molteplici i nuclei tematici messi a fuoco.
Tempo d’opera (Il Ramo e la Foglia Edizioni, 2022) è un libro che sfida l’inganno dell’apparenza, della frivolezza, della superficialità a cui il sistema attuale ci ha ormai abituato.
Toni è sempre lì a porci un altro modo di concepire, intendere, vedere il reale:
“Chissà come sarebbe guardare il giardino da un’altra parte, dall’angolo più estremo…”
Con la sua postura discreta, mai invadente e con alle spalle un lavoro poetico pluridecennale, teso allo stesso tempo all’essenziale, senza mai perdere di vista il senso delle cose.
Leggendo questi componimenti da un lato a tratti si ha la netta impressione che il poeta voglia dire la verità in modo obliquo, secondo la formula di Emily Dickinson, mentre dall’altro si avverte che la verità sia a portata di mano, ma sfugga irreprensibile “come un’anguilla tra le mani”, secondo una celebre sentenza montaliana.
Queste liriche trovano compimento dopo un periodo di gestazione volta a elaborare con cura certosina idee e dettagli e sono frutto di grande concentrazione, di una lunga meditazione sull’esistenza. Qui nessuna parola, nessun verso è approssimativo, niente è casuale e l’inconscio è sorvegliato, filtrato da una cultura e un’intelligenza non comuni.
Per intenderci Toni è un fine dicitore, un raffinato cesellatore, che non banalizza mai, non cede mai niente all’ovvio, al risaputo, al già visto. La sua scrittura non giunge mai al grado zero nel vero senso che Barthes dava a questa sua espressione: non è mai troppo disinvolta, né sciatta, ma è sempre finalizzata alla ricerca di precisione chirurgica verbale, di esattezza. L’autore non soffre a ogni modo di quella che Calvino definiva “ossessione descrittiva”, non si sofferma mai eccessivamente solo e soltanto sugli oggetti, sulla superficie delle cose, ma la sua capacità descrittiva e simbolica è a doppio fondo perché scandaglia anche la profondità dell’animo umano. Il miglior modo per ricordare questo poeta, scomparso prematuramente, è assimilare il suo dettato, appropriarci della sua arte con una lettura attenta.
Potremmo dire a ragion veduta che, nonostante sia saldamente ancorato alla tradizione novecentesca (soprattutto a Penna e ad Amelia Rosselli) riesca a trovare un proprio filone autonomo e molto originale di fare poesia.
Se andiamo più in profondità potremmo affermare che Toni è il poeta della ferita interiore, della ricerca di connessione continua tra essere e pensiero, del senso di smarrimento nei confronti dell’assurdità del mondo, del senso ineluttabile della fine:
“Il cappello per il prossimo inverno. Verrà?/ Per ora teniamolo così, sospeso tra gli oggetti…”
E quindi della corporeità intesa come unica possibilità di relazione con gli altri ma anche come limite intrinseco.
Il poeta sapeva di essere malato, ma la poesia era un modo per sublimare il dolore, per trascendere la morte, per interrogarsi sulla vita e sulla morte, per volare alto. Ma il poeta non chiedeva mai l’impossibile all’arte perché la considerava “un muto universo parallelo”, un’altra realtà.
La malattia è comunque solo un punto di partenza per l’autore e non un modo sentimentale, effusivo per commuovere il lettore. Non c’è alcuna traccia di autocommiserazione, né Toni civetta mai con la morte, ma è dichiarato a chiare lettere l’attaccamento alla vita, anzi l’istinto di autoconservazione sfocia nell’amore per la vita:
“Ma mai potremo dire abbiamo solo/ per poco, solo per poco rinunciato/ a vivere. Mai che la vita non sia/ o ci abbandoni”.
Inoltre questa poesia è esistenziale e sempre a ciglio asciutto che grazie al talento, alla dignità, alla compostezza diventa davvero metafisica.
Per tutti questi motivi Toni è un poeta che dovrebbe essere conosciuto, scoperto perché è stato una figura di riferimento del secondo Novecento (si pensi alle sue frequentazioni e ai suoi sodalizi con personalità di spicco come Magrelli e Giovanna Sicari) e dei primi anni del Duemila, anche se schivo, appartato e defilato sia per scelta intellettuale che per personalità.
Ecco una splendida poesia:
Per domani vediamo. Devo
togliere togliere togliere.
E poi nuovamente ridare.Ma non il troppo che è inutile.
Sai che la misura è proprio
il giusto che il sole ci dà.Oltre non posso andare,
scelgo i colori da usare
e il tempo, un tempo sobrioda colmare tra tutte le cose:
prendi, la spesa è fatta
i conti sono a posto. Chiudi.
Tempo d'opera
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