Tra muro e libertà. Sogni, illusioni e delusioni di un ragazzo dell’Est
- Autore: Andreas Just
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
Qualcuno si rifà addirittura al mito platonico della caverna: i cittadini dell’ex Repubblica Democratica Tedesca percepivano solo una parvenza di reale. All’interno del recinto anti-occidentale del Muro, il meccanismo di fidelizzazione era rodato: spacciare per realtà (la migliore delle realtà possibili) quelle che erano solo ombre di realtà.
Una nazione attestata emotivamente sullo status quo, sul garantito dallo Stato, aristotelico Motore Immobile di ogni cosa. Nulla era concesso al di fuori del Sistema, della dottrina e dei valori comunisti. Fuori dai confini orientali abitava il Male assoluto, il Male che corrompe, che converte ai disvalori del Capitale. Si giustificano in questo modo il grigiore, l’iper-controllo, il sogno di libertà tarpato che hanno segnato le vite di burocrati (da un lato) e cittadini (dall’altro) dell’ex DDR. Chi mi ha letto in altre circostanze sa come la penso: la posta in gioco non sarà forse valsa la candela, ma quale libertà esisteva aldilà della “barriera di protezione antifascista” di Berlino Est?
Chiamato al confronto tra comunismo e post-comunismo, così la pensa Andreas Just, tedesco cresciuto a Romhild (DDR) e adesso cittadino tedesco e basta, nel suo Tra muro e libertà. Sogni, illusioni e delusioni di un ragazzo dell’Est , da poco edito da edizioni La Vela (traduzione di Roberta Ferrari e Linda Molli):
È molto difficile distinguere obiettivamente i due sistemi che conosco per esperienza diretta. Per me è chiaro che non si possa esprimere una valutazione positiva o negativa considerando semplicemente singoli fatti ed elementi isolati. E’ l’insieme che ottiene risultati. Più volte si sente dire che le imprese statali nella DDR non venivano gestite in base alle leggi economiche reali: la teoria era una cosa, la pratica un’altra. c’era indubbiamente una gestione sciatta e, non va dimenticato, uno dei principi fondamentali era che nessuno dovesse essere disoccupato. Tuttavia, in linea di principio, trovo che non ci sia molta differenza tra un sistema economico in cui alle persone si garantisce un posto statale – quindi si integra socialmente – rispetto a uno che paga loro il sussidio di disoccupazione (…) con la differenza che, nel secondo caso, ciascuno resta isolato e solo.
La storia è dunque la solita: quali alternative di libertà offre – e ha offerto – il liberismo che ha soppiantato i sistemi comunisti del mondo? A quale prezzo i tedeschi dell’est si sono integrati (?) dalla parte giusta, la parte della Germania Occidentale e della Storia? Mantengo i miei dubbi, a maggior ragione dopo aver letto il diario di formazione di Andreas Just, che sa essere anche durissimo con il sistema politico-sociale comunista, ma perplesso riguardo al benessere relativo e alle finte libertà che gli sono succedute.
Andreas Just non è di Berlino, abitava in un paese prossimo al confine con la Germania Ovest. Come dire che di quel mondo subiva il richiamo, la fascinazione degli eco vicini-lontani, a cominciare da quelli radiofonici e televisivi. La sua formazione ha seguito però le regole del tedesco orientale modello: indottrinamento scolastico, credo comunista, pratiche sportive, consumi ridotti, in un paio di occasioni persino carcere e interrogatori per inezie, servizio militare obbligatorio, uguale a se stesso sotto qualunque latitudine:
(…) l’addestramento militare cominciava molto presto. Nella DDR era già inserito nell’educazione scolastica: per esempio, la GST, la Società per lo sport e la tecnica, svolgeva attività come campi di difesa militari e civili. Di fatto, l’educazione pre-militare iniziava già all’asilo, dove unità dell’esercito si recavano in visita ai bambini. A scuola i pionieri cantavano canzoni per i soldati coraggiosi che difendevano la patria contro il nemico di classe.
Di indole ribelle quanto basta per non bersela fino in fondo, Andreas Just si uniforma fino a un certo punto, diventando istruttore di nuoto e di lotta a livello agonistico. Questo per dirvi che la sua visione delle cose è tutt’altro che apologetica. Del sistema della Germania Est enumera una per una, come dire, le incongruenze sulle quali ha retto fino al 1989, ma non sottace la delusione del dopo. La cocente delusione che viene dal contatto con il mondo occidentale. In prospettiva è l’aspetto forse più amaro delle sue riflessioni.
Nella Germania dell’Est la vita era regolamentata e anche limitata: c’erano ‘l’economia della scarsità’, che obbligava le persone a darsi da fare (…); la politica del guinzaglio; il controllo opprimente del partito e dello stato; la Stasi. Nonostante tutti questi impedimenti, però, ognuno poteva trovare la propria strada: bastava ingegnarsi un po’. Spesso l’attuale Germania Est è giudicata politicamente immatura, ma in realtà è vero esattamente il contrario: i tedeschi dell’Est conoscono entrambi i sistemi e possono giudicare in maniera diversa rispetto alle persone che non hanno vissuto le loro stesse esperienze (…) In politica, poi, si discute dei tedeschi dell’Est, mai con i tedeschi dell’Est: in trent’anni non è cambiato nulla. Secondo uno studio del Sindacato confederale tedesco (…) del 2019, relativo alle retribuzioni dei lavoratori in Sassonia, questi guadagnano meno rispetto agli omologhi cechi. Secondo una statistica austriaca, gli stipendi in Austria sono più alti rispetto alle Germania, per non parlare della ex Germania Est.
Non commento più di tanto, convinto che al senso sotteso di queste affermazioni potete arrivarci da soli. Qui non c’entra la solfa del si stava meglio quando si stava peggio. C’entra che nella caverna globale di Platone ci stiamo dentro tutti e la cosa peggiore è che non si intravede uno schiavo capace di tentare la sorte e guardare di fuori.
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