La poesie di Montale sono piene di vento, ci avete mai fatto caso? Un turbine d’aria vorticoso che soffia a volte vitale, altre volte dichiaratamente ostile, sino a raggiungere la propria massima espressione ne La Bufera che apre la terza raccolta montaliana dal titolo quasi omonimo La bufera e altro (1956), in cui il vento con il suo fragore e i suoi “suoni di cristallo” diventa simbolo oscuro della Seconda guerra mondiale.
Prima del vento allegoria della Storia e dell’ingovernabile realtà esterna, però, in Montale troviamo il vento allegoria dell’anima, immagine simbolica di un caos interiore prima ancora che esteriore.
Tramontana forse è una delle poesie meno note di Eugenio Montale, compone il trittico di venti dell’Agave sullo scoglio, ed è contenuta nella prima raccolta del poeta ligure Ossi di seppia (1925) e ci restituisce l’immagine vertiginosa di un paesaggio interiore che contiene tutta la dolcezza tempestosa (che “turbina e non appare”) della poetica montaliana.
Protagonista di questa poesia è il vento di Tramontana, freddo, che soffia da nord, e si traduce in una “volontà di ferro” che sembra spazzare l’aria rivoltando ogni cosa e portandola via con sé, come tempo che fugge e più non ritorna.
Già in questa poesia si coglie l’essenza metafisica della poetica montaliana, perché Tramontana si fa presagio dell’astrattezza, della poesia di inappartenenza che caratterizzerà l’ultimo Montale dove le “affinità d’anima” non giungono alle parole, ma restano effuse come un magnetismo.
Tramontana appartiene ai primi componimenti montaliani, pubblicati inizialmente sulla rivista “Primo tempo” attorno al 1922-1924: uscirono su quelle pagine le poesie Riviere e Accordi, seguite poco dopo da Scirocco, Tramontana e infine da Maestrale.
In seguito il poeta avrebbe radunato queste poesie dedicate ai venti - il ben noto trittico - nel poemetto L’agave sullo scoglio, di cui Scirocco costituisce la prima parte e forse la più conosciuta, Tramontana la seconda e, infine, Maestrale la terza che apre lo spazio a un paesaggio rasserenante caratterizzato “dall’azzurro fitto del cielo”.
Il giovane Montale, nato a Genova e cresciuto sul mare, aveva dato alle sue poesie i nomi dei venti che gli soffiavano nel cuore fin da quando era bambino. Era il vento che donava al mare il suo carattere mutevole, agevolando il movimento continuo e fragoroso delle onde, saturando l’aria dell’odore salmastro tipico delle località marine. E proprio di “mare e di vento” si nutriva la poesia dell’autore ligure, sin dalle sue origini.
Nel 1923 Montale scriveva in una lettera all’amico Sergio Solmi (i due poeti si erano conosciuti a Parma nel 1917, il loro epistolario è stato pubblicato nel 2021 da quodlibet) di attraversare una fase di profonda inquietudine in cui sentiva di non poter rimanere a lungo “disoccupato” e di sentirsi in bilico tra l’attività di “letterato” e quella di “uomo pratico”. Aveva ventisette anni, all’epoca, Montale e non aveva ancora pubblicato la sua prima raccolta poetica, Ossi di seppia (uscirà nel 1925 grazie a Piero Gobetti), che oggi conosciamo come capolavoro della nostra letteratura novecentesca.
Questi versi, scritti proprio nello stesso periodo della lettera a Solmi, riflettono appieno l’angoscia e i “circoli d’ansia” patiti dal giovane Montale, ancora incompleto e turbato da desideri ardenti e ansia sconfinata di futuro.
Vediamone testo, analisi e commento.
“Tramontana” di Eugenio Montale: testo
Ed ora son spariti i circoli d’ansia
che discorrevano il lago del cuore
e quel friggere vasto della materia
che discolora e muore.Oggi una volontà di ferro spazza l’aria,
divelle gli arbusti, strapazza i palmizi
e nel mare compresso scava
grandi solchi crestati di bava.
Ogni forma si squassa nel subbuglio
degli elementi; è un urlo solo, un muglio
di scerpate esistenze: tutto schianta
l’ora che passa: viaggiano la cupola del cielo
non sai se foglie o uccelli – e non son più.E tu che tutta ti scrolli fra i tonfi
dei venti disfrenati
e stringi a te i bracci gonfi
di fiori non ancora nati;
come senti nemici
gli spiriti che la convulsa terra
sorvolano a sciami,
mia vita sottile, e come ami
oggi le tue radici.
“Tramontana” di Eugenio Montale: analisi e commento
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Il paesaggio, in questa poesia, è soprattutto interiore e sembra anticipare i versi intramontabili di Dora Markus quando il poeta, per descrivere l’inquietudine della donna esule dalla sua terra scrive:
è una tempesta anche la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Anche in Dora Markus ritorna curiosamente l’immagine del lago, già presente in Tramontana. In questa prima poesia giovanile, scritta nel 1922, Montale alludeva al “lago del cuore”, un’allegoria che ritornerà nella poesia delle Occasioni (1939). Riferendosi alla donna, Dora (che in realtà era una sconosciuta, mostratagli in fotografia da Bobi Bazlen), Montale dice:
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d’indifferenza ch’è il tuo cuore;
E ora, rileggendo con più attenzione i versi di Tramontana, appare lecito affermare che Montale, non conoscendo Dora Markus, abbia cucito il personaggio della donna a immagine e somiglianza di sé stesso. L’inquietudine di Dora è la sua inquietudine, la stessa ansia giovanile ritratta in Tramontana dove il vento è riflesso di una turbolenza interiore.
La poesia Tramontana, scritta da un Montale ventiseienne, trasforma il travaglio interiore dell’io in una metafora paesaggistica: il vento che agita e scompiglia, urla (non è assente la personificazione) e muggisce tra le onde.
La conclusione però è già un anticipo del pensiero metafisico dell’ultimo Montale: a prevalere, infine, è la forza interiore dell’uomo.
L’ultima strofa, infatti, non fa più riferimento al paesaggio ma si concentra su una sorta di sofferenza esistenziale, riflesso del male di vivere:
come senti nemici
gli spiriti che la convulsa terra
sorvolano a sciami,
mia vita sottile
Nel turbinare del vento di Tramontana si condensa tutto il male del mondo che insidia l’anima sensibile del poeta: la vita appare fragile, adesso, è come l’agave sullo scoglio, atterrita e sconquassata dai venti.
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Quest’immagine sarebbe tornata significativamente più volte nella poetica montaliana, sino a raggiungere l’apoteosi proprio ne La Bufera nella quale il vento diventa metafora oscura di una guerra cosmica.
Ma nel primo Montale, nell’autore di Ossi di seppia, il vento di Tramontana è allegoria di una tempesta tutta interiore e, per quanto esso sia forte, insidioso, annichilente, non riesce a scalfire la profonda forza dell’uomo che, infine, trova nelle sue radici la capacità resistenziale necessaria a non farsi sopraffare.
In conclusione possiamo dire che quello presentato in questa poesia è un vento vitale, non ancora un vento ostile. A chiudere il trittico dei venti sarebbe stata infatti Maestrale, una lirica che racchiude un profondo senso di apertura al futuro con la sua conclusione “più in là” nella quale si riverberano tutti gli universi possibili.
No, dopotutto in Tramontana il vento di Montale non si era ancora tramutato nella Bufera della Storia, era solo la tempesta dolce di un’inquietudine giovanile.
Il poeta, proprio come l’agave di mare, era ancora saldamente aggrappato alle sue radici, al terreno arido e brullo della Liguria, agli “ossi di seppia” dai margini taglienti che si incontravano a riva quando il mare si ritirava e sembrava di poter vedere persino oltre “ciò che si vede”. In quel vento impetuoso da nord, vento di Tramontana, era racchiusa in nuce tutta la poetica montaliana e le sue poesie più belle, da La casa dei doganieri, a Dora Markus sino Ho sceso dandoti il braccio, in fondo era tutta una questione di radici e di ali.
La tua irrequietudine mi fa pensare
agli uccelli di passo che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Era l’inquietudine di Dora, era l’inquietudine di Eugenio, eccola tutta racchiusa nel vento di Tramontana che conteneva in sé l’urlo mai sopito di esistenze divelte, strappate dalle loro consuetudini e richiamate all’improvviso a sé stesse:
è un urlo solo, un muglio
di scerpate esistenze: tutto schianta
l’ora che passa: viaggiano la cupola del cielo
non sai se foglie o uccelli – e non son più.
Il vento, il mare e le loro allegorie: il tempo, la memoria. Le parole erano sempre state lì: non era molto in fondo, ed erano sempre le stesse, ma era il modo di comporle che cambiava nel tempo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Tramontana”: il vento nella poesia interiore di Eugenio Montale
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